
Nello scacchiere internazionale, le contese tra Paesi sono regolate dal diritto oppure dai rapporti di forza? La questione è stata posta dall'approccio trumpiano, solo meno ipocrita del predecessore, e rilanciata in questi giorni dal vertice di Tianjin sul nuovo ordine mondiale che si sta formando. Cina, India e Russia vogliono contare di più e fanno bene a farsi sentire. Il punto controverso è se debbano contare di più perché ne hanno diritto o perché ne hanno la forza, che non significa guerra di eserciti ma guerra commerciale sì.
La loro strategia finora è stata quella della forza: mettiamoci insieme così pesiamo di più. Del resto, non fanno che copiare lo schema del G7, a cui fu aggiunto un G20 per evitare, senza successo, la nascita di questa alternativa.
Noi europei benpensanti invece usiamo il filtro del diritto, e va bene, ma in opposizione alla forza. Ci viene comodo perché se il diritto conta per loro poi vale anche per noi, che ne abbiamo particolare bisogno per la nostra equazione impossibile: godiamoci la ricchezza che abbiamo, pur se ci indeboliamo, tanto il diritto ci protegge. Eppure, le vicende dei mesi scorsi indicano che no, se siedi a tavola il conto lo paghi. Questa contrapposizione è sbagliata perché non legge la realtà storica. Forza e diritto stanno insieme. Il diritto è un derivato della forza, non la sua alternativa. Dentro gli Stati vige il diritto e dice che un'azione è reato quando comporti una pena, che per essere inflitta ha bisogno del potere dello Stato. Il diritto poggia su quella forza: no forza, no diritto. A livello internazionale è lo stesso. Se pesi e conti, hai forza e fai valere i tuoi diritti: no forza, no diritto. È giusto? Domanda sbagliata. È così che va il mondo? Sì, da sempre. Le protezioni di cui godeva all'estero il civis romanus erano legate al suo status, a sua volta garantito dalla forza di Roma.
Nei periodi di relativa calma, quando tutti rispettano un certo ordine, com'era nel mondo bipolare o in quello successivo unipolare o presunto tale, ci si può illudere che sia il diritto a governare le relazioni da solo, senza la forza. Poi arriva qualcuno e dice: a me non sta più bene, questa torta si divide diversamente. Allora pensi di risolverla col diritto, ma scopri che nel frattempo, ti eri distratto, capita, le forze sottostanti sono cambiate e dunque quel diritto non riesce a regolare la questione.
Gli Americani, democratici o repubblicani poco importa e grossolani quanto si vuole, accettano pragmaticamente il braccio di ferro: vediamo se hai davvero la forza che dici.
Invece noi europei, ricchi, sofisticati e pieni di joie de vivre, siamo inclini a concedere. Per non sbatterci troppo, certo, ma c'è dell'altro. Molti sono sempre pronti a sostenere un outsider non occidentale, e dunque per definizione non americanizzato, che alzi la testa. Pure in questi giorni i maitre à penser dell'intellighenzia di sinistra e presunta progressista, Prodi e D'Alema su tutti, non fanno mancare il loro appoggio. Contro il brutale dittatore della più grande democrazia del mondo e a favore di illuminati paladini dei diritti civili, della parità di genere, dell'ambientalismo e della pace, sorvolando su Kiev e in attesa di Taiwan. È una rivincita permanente contro chi è uscito bene dalla Guerra Fredda, ignorando che non l'ha vinta il capitalismo americano ma l'ha persa il socialismo sovietico, per cui il nemico del mio nemico è e sempre sarà mio amico.
L'illusione è che questi amici caritatevoli ci garantiranno a vita i nostri interessi e privilegi senza chiedere nulla in cambio ma sol perché, non dimentichiamolo mai, ne abbiamo diritto: non scherziamo su questo, per favore. È fantastico poter scegliere tra la forza e il diritto, questa è vera civiltà. Già. In effetti il diritto è una cosa bellissima. Peccato che non ti esima dal dovere di alzarti presto la mattina e pedalare.