RomaSarà pure l'autunno il Vietnam del governo, lo snodo cruciale della legislatura, ma è il Generale Inverno, con i dati dell'economia reale, a imporre la via giusta da imboccare. È su questa consapevolezza che l'uomo di Palazzo Chigi ha lasciato la garitta ai suoi piantoni, prima di dedicarsi allo jogging in Val di Sieve.
Matteo Renzi e le riforme: nel tira-e-molla tra maggioranza e minoranza del Pd, con minacce e distinguo infiniti, ecco emergere una terza via, quella che salva capra e cavoli. L'emergenza economica. Finora infatti i pochi punti fermi della questione restavano la mancanza di una maggioranza in Senato (nonostante la dichiarazione spavalda in serata: «La riforma si farà, con o senza Forza Italia») e la determinazione del premier a legare il destino della legislatura alla Madre di tutte le riforme. Al punto da minacciare una crisi di governo in caso di modifiche sostanziali alla legge in discussione sul futuro del Senato. «Se falliscono le riforme si apre un problema politico gigantesco», ha dichiarato il capogruppo Pd alla Camera, Ettore Rosato. Il vero problema è che, pur deciso ad aprire una crisi, Renzi ha già fatto sapere che non accetterebbe un mandato-bis (anche per non affievolire l'effetto dell'ultimatum) e di preferire una volata elettorale. Quest'ultima ipotesi, in verità, ha proprio l'aria di una gran bufala, fosse solo per i mille problemi che sorgerebbero con la legge elettorale, l' Italicum , che non prevede il Senato.
Ne consegue l'esigenza renziana di poter dare respiro alla propria azione di governo («Sono un vincente, mai vorrei essere ricordato per un fallimento», è da sempre il leit-motiv con i collaboratori) soltanto in un modo: ripartendo da dove il proprio mandato era partito, da un patto con Forza Italia che a settembre possa essere riproposto in versione aggiornata. La strada maestra, ragiona Renzi, non tanto per non avere più problemi numerici nelle aule parlamentari, quanto per ritrovare slancio nel Paese. Senza contare di poter indurre finalmente i ribelli dem a cadere nel precipizio di una scissione. «Renzi sembra incoraggiare l'uscita di chi non allinea», ha spiegato il bersaniano D'Attorre. Convinto di restare nel Pd finché potrà, anche per «non regalare una gioia a chi non aspetta altro che la nostra uscita».
Ed è a questo punto della situazione che, imprevedibilmente, le strade sembrano poter diventare, per il governo, più complicate eppure dare a Renzi il destro per sfuggire all' impasse del Senato. La svalutazione dello yuan cinese, come sottolineava ieri Cesare Damiano, esponente di spicco della (residuale) minoranza, ma assai renziano sulle riforme, potrà avere un «effetto domino che colpirebbe l'Europa; le previsioni di crescita rischiano di andare deluse e di fermarsi sotto l'1%, costringendo a correggere la legge di Stabilità». Damiano chiede perciò a Renzi di convocare i gruppi pd subito alla ripresa di settembre, per una «discussione di fondo sull'economia: con tutto il rispetto per l'acceso dibattito sul Senato, ci pare che il problema della crescita rappresenti una priorità assoluta». Segnale assai preciso che si sposa alla paura, testimoniata da D'Attorre, che con le difficoltà economiche del Paese «la disputa sul Senato diventi un'arma di distrazione di massa».
La tempesta monetaria cinese potrebbe costituire perciò il «fatto nuovo» che impone a Renzi di concentrare le forze in economia, ripartendo da una solida maggioranza parlamentare. La riforma slitterebbe a tempi migliori o, comunque, passerebbe in secondo piano. Una mezza ritirata dal Vietnam, insomma, compensata dall'avanzata in Cambogia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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