"Serve una Chiesa ricca per sconfiggere la povertà"

L'ex banchiere Ior, Ettore Gotti Tedeschi: "Sogno un Papa santo che ne sappia di economia e un Segretario di Stato forte"

"Serve una Chiesa ricca per sconfiggere la povertà"

«La Chiesa deve essere ricca e guidata da un santo». L'ex presidente Ior Ettore Gotti Tedeschi osserva preoccupato la vacatio del trono di Pietro.

Qual è l'eredità del Papa?

«La risposta non può che essere soggettiva e certo troppo inficiata da opinioni personali. Un tempo la Chiesa Cattolica era divisa dal mondo esterno laicista. Poi si è divisa al suo interno tra progressisti e tradizionalisti, negli ultimi anni si è divisa persino all'interno dei progressisti e tradizionalisti. Per ricomporla ci vuole solo un santo. Una opinione generica sarebbe poco oggettiva, perché dipende troppo da ciò che si vorrebbe fosse l'Autorità Morale, da ciò che ci si aspetterebbe che lei facesse. La mia personale impressione è che detta eredità lasciata non sia affatto una eredità in stretto senso, sia piuttosto l'imposizione di riflettere su cosa debba essere oggi la Chiesa, (ex) cattolica, apostolica, romana. Talvolta guardiamo il dito ma non quello che indica».

E che cosa indica?

«Oggi nel mondo globalizzato, interconnesso, e di fatto anche molto occidentalizzato grazie al mercato globale, la posta in gioco, più che il cristianesimo e cattolicesimo, è la intera civiltà. Non più, ripeto, cristiana o occidentale, ma civiltà ormai mondiale. Perché di fatto il Pontefice della Chiesa Cattolica è e resta la maggior Autorità Morale al mondo, ascoltata da tutti. Perciò affrontare il tema della eredità di Papa Francesco è estremamente complesso».

Proviamoci...

«Le voglio dare una risposta ugualmente, ma in modo indiretto. Alcuni anni fa, prima di lasciare questa terra, un caro amico intellettuale ebreo londinese, mi commentò, riferendosi ai mille commenti sul Magistero di Francesco: «Sai, mi preoccupa la possibile, potenziale, confusione che si può percepire tra cosa è bene e cosa non lo è, perché quando c'è questa confusione, nella storia, siamo stati noi ebrei a subirne in qualche modo le conseguenze...».

Problemi irrisolti?

«Direi tutti i grandi problemi che affliggono l'intera umanità, perché son stati affrontati negli effetti e non nelle cause. Ciò vale per il tema povertà, le diseguaglianze, il clima e l'ambiente, l'immigrazione, eccetera. Mai visto analizzare le cause di questi problemi, che infatti restano irrisolti».

Con quali conseguenze?

«Vede, fino a prima dell'ultimo Pontificato la Chiesa non doveva parlare di economia. Se lo faceva subiva attacchi immediati perché non veniva tollerata una valutazione morale in economia. Pensi a grandi Papi in diverse epoche storiche, da Leone XIII a Paolo VI, a san Giovanni Paolo II e infine a Benedetto XVI. Nell'ultimo pontificato, si direbbe, e mi passi il modo paradossale con cui lo dico, non si è parlato altro che di economia, nel Magistero soprattutto».

Cos'è l'economia?

«Come diceva Keynes, non è una scienza: una decisione (la causa) non produce l'effetto voluto. L'economia è governata dalla prassi di mercato, cioè dalla concorrenza, che nel mondo oggi, è veramente globale ed imprevedibile. Spesso pertanto l'economia inventa soluzioni utopistiche. Ma se queste entrano nel Magistero della Chiesa, che succede?».

Cosa farà il nuovo Papa?

«Io credo che il nuovo Pontefice debba dare chiare indicazioni, non riferite all'economia, ma allo spirito, che poi in fine dovrebbe essere la sola materia in cui dovrebbe essere esperto. Il nuovo Papa deve indicare le vie di salvezza per l'uomo, proprio in questo mondo di oggi, non nonostante questo mondo! Si rilegga Caritas in Veritate, l'Enciclica della globalizzazione, dove il (grande) Benedetto XVI spiega nella introduzione che in un mondo impregnato di cultura nichilista, l'uomo faticherà a gestire gli strumenti sofisticati di cui dispone, che rischiano di sfuggirgli di mano e prendere autonomia morale. Conclude facendo intendere che quando si è in crisi non sono gli strumenti che devono essere cambiati, ma il cuore dell'uomo. E cambiarlo è compito della santa Chiesa che dispone di tre strumenti: magistero, preghiera e Sacramenti».

Qual è il suo identikit?

«In pratica io sogno un Papa santo, ma che, date le complessità che si son create, sappia adottare le norme di governance necessarie all'interno della Chiesa, sappia dotarsi di un Segretario di Stato, forte e determinato, profondo conoscitore del funzionamento attuale della struttura. Ci vorrebbe un San Pietro e un San Paolo coesistenti. In 5 anni decuplicherebbe il numero di praticanti, il numero delle vocazioni, l'afflusso di risorse finanziarie e il mondo globale avrebbe indicazioni morali indispensabili per sopravvivere».

Il Papa sognava una Chiesa per i martiri, senza soldi...

«Dichiarò che voleva una chiesa povera, e ciò l'ha ottenuto mi pare. Ma la Chiesa deve essere ricca. E deve esserlo per poter fare evangelizzazione e correggere caritatevolmente ed amorevolmente le cause di taluni squilibri socioeconomici che sono a lei propri. Per far questo ci vogliono tanti soldi. Diceva un grande santo del secolo passato che i soldi non servono... se sono pochi.... Fin dal terzo e quarto secolo dopo Cristo, i discepoli si interrogavano sulla liceità di ricevere donazioni grazie al riconoscimento della bontà della missione evangelizzatrice. Chiesero a un saggio filosofo cristiano, Clemente Alessandrino, che li rassicurò che non era un problema».

Ah no?

«Il problema sta nel come si sono ottenuti e come sono spesi... Se la Chiesa ottempera alla sua missione, verrebbe coperta di soldi. Quanto alle Banche del Papa, ci si è chiesto se il Papa potesse avere una sua banca. Paolo V nel 1605 fondò una grande banca, la Banca Santo Spirito, che serviva a finanziare le opere ospedaliere della Santa Sede. E fu costretto a farlo perché le banche cattoliche dell'epoca erano fallite... Purtroppo non seppe gestirla, però...».

Chi e come dovrebbe farlo?

«I soldi del Papa sono soprattutto l'obolo della vedova evangelica, e vanno utilizzati per

il Tempio. Se ciò talvolta non è avvenuto è, secondo me, per mancanza di regole più che per incompetenza. Cioè regole di governance e controllo, conseguentemente. Ho letto che il cardinale George Pell lo aveva ben capito».

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