Cronaca giudiziaria

La servitù sotto torchio per gli otto milioni spariti

Per dimostrare la frode, i pm indagano sull'ultimo anno di vita che Marella Agnelli avrebbe trascorso in Italia e non in Svizzera

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A scorrere la trama si resta basiti. C'è una figlia «tradita», Margherita Agnelli, che punta dritto contro i suoi figli e contro la memoria della madre scomparsa. Sembra di precipitare dentro una tragedia greca. Ma i toni alti, qui, lasciano il posto a un feroce romanzo borghese: soldi, ville, quadri. Una cupa dynasty che va avanti da anni, ma ora ci sono tre indagati eccellenti: John Elkann, presidente di Exor, il commercialista Gianluca Ferrero, presidente della Juventus e «custode» dei conti della famiglia Agnelli, il notaio Urs von Gruenigen. La storia ha sofisticate implicazioni giuridiche, ma il canovaccio è semplice: l'anno scorso, nell'ennesimo round di una saga che la oppone ai tre figli di primo letto capitanati appunto da John, Margherita porta in procura le ricevute dei bonifici mensili destinati alla madre Marella Caracciolo Agnelli sulla base degli accordi successori stipulati in Svizzera nel 2004. Sulla base di quell'intesa Marella riceve ogni trenta giorni dalla figlia più di mezzo milione di euro, ma le carte raccontano solo il 2018 e le poche settimane del 2019, fino alla morte della nobildonna il 23 febbraio di cinque anni fa. A questo punto si insinua il tarlo: in quel fatidico 2018 Marella trascorse più di 183 giorni non in Svizzera, come dichiarato, ma in Italia. Di qui l'ipotesi della frode che cambierebbe le carte in tavola e di cui oggi rispondono le persone che gestirono i suoi affari. Se è vera questa ipotesi investigativa, Marella abitava in quel periodo in Italia, a Villa Frescot sulla collina di Torino, e dunque avrebbe dovuto dichiarare al fisco tricolore non solo i redditi prodotti nel nostro Paese ma tutti i suoi beni. A cominciare dagli otto milioni «dimenticati». E pagare le tasse di conseguenza. Non è un'inchiesta semplice: bisogna censire gli asset di Marella, ci sono di mezzo complesse ricostruzioni e rogatorie in Svizzera, ma soprattutto va chiarito il giallo dei 183 giorni. Un'impresa complicata, affidata al nucleo di polizia economico finanziaria delle Fiamme gialle, guidato dal colonnello Alessandro Langella. Davanti ai pm e ai militari della Guardia di finanza sfilano alcuni testimoni che dovrebbero sapere dove trascorse il suo ultimo anno di vita Marella. Persone dell'entourage di John Elkann, amministrativi, dipendenti, domestici. L'elenco è lungo e si andrà avanti ancora con dame di compagnia, cuochi, giardinieri, medici, infermieri, autisti, piloti di elicottero, la piccola corte della nonna di John. Un lavoro paziente e meticoloso che promette tempi lunghi: queste indagini se vogliono arrivare alla fine devono avere fondamenta più che solide. È evidente che la procura procede con i piedi di piombo, un passo alla volta: Stellantis non è più la Fiat e Torino è ormai la periferia dell'impero, ma i pm non vogliono certo ghigliottinare la storia industriale della metropoli sabauda. Dunque, per ora siamo alla verifica di quanto scritto nell'esposto di Margherita. Ma è altrettanto certo che una vittoria della procura sarebbe un successo anche per lei. A quel punto, in una sorta di effetto domino, potrebbero vacillare anche i patti successori che Margherita vede come fumo negli occhi: quei patti furono stipulati in Svizzera ma ora, prevalendo il versante tricolore, potrebbero essere disconosciuti.

È solo un'ipotesi, fra disquisizioni tecniche, rancori, suggestioni politiche.

Sullo sfondo una Torino che sbiadisce: il cortocircuito della famiglia dell'Avvocato, monarca dell'Italia repubblicana, nelle ore in cui la città dice addio al monarca che non fu mai re.

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