Cronache

Sesso, cibo e mazzette per pilotare le sentenze Giudice in manette

Arrestati un magistrato di Corte d'Appello e due avvocati. Con l'aggravante mafiosa

Sesso, cibo e mazzette  per pilotare le sentenze Giudice in manette

Quando le agenzie di stampe annunciano, «Giudice arrestato dalla Gdf per corruzione in atti giudiziari: è Marco Petrini», sono in tanti a tremare. Il nome del magistrato è quello più clamoroso che emerge dalle indagini della Dda di Salerno, convinta di aver smascherato una «sistematica attività corruttiva». A leggere l'ordinanza di custodia cautelare, l'uomo-chiave era proprio il magistrato (presidente della terza sezione civile della Corte d'appello di Catanzaro e della Commissione provinciale tributaria del capoluogo calabrese). Il suo compito? «Ottenere sentenze favorevoli». In cambio avrebbe ricevuto «consistenti somme di denaro, favori sessuali, oggetti preziosi e viaggi». Ma non mancavano neppure «utilità» decisamente più modeste come «cassette di pesce», «verdura», «frutta» e «derrate alimentari». Uno scenario che, se non fosse tragico, sarebbe comico. Arrestate, con l'aggravante di mafiosa, altre sette persone: Emilio Santoro (medico in pensione ed ex dirigente dell'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza); Luigi Falzetta; Giuseppe Tursi Prato, (ex consigliere regionale); Francesco Saraco (avvocato); Vincenzo Arcuri, Giuseppe Caligiuri e Maria Tassone (avvocato). In alcuni casi i «provvedimenti favorevoli» richiesti a Petrini, e da questo promessi, erano volti a «vanificare, con assoluzioni o consistenti riduzioni di pena, sentenze di condanna pronunciate in primo grado dai Tribunali del Distretto di Catanzaro, provvedimenti di misure di prevenzione, già definite in primo grado, o sequestri patrimoniali in applicazione della normativa antimafia, nonché sentenze in cause civili e accertamenti tributari». Oltre al magistrato, un ruolo centrale sarebbe stato ricoperto dal medico in pensione che, oltre a «stipendiare mensilmente» il giudice, si sarebbe dato da fare per «procacciare nuove occasioni di corruzione, proponendosi a imputati o a parenti di imputati condannati in primo grado». «Le azioni corruttive - spiegano gli inquirenti - sono state documentate anche attraverso intercettazioni audio e video». Le indagini hanno permesso di accertare la «pesante sofferenza finanziaria» in cui versava il giudice Petrini: una condizione «cronicizzata», scrive la Procura di Salerno, e «assolutamente non risolvibile nel breve periodo». Da qui la necessità da parte del magistrato di «procurarsi somme di denaro in contanti e non tracciabili su conti bancari per mantenere l'elevato tenore di vita». Nell'inchiesta spunta perfino l'ombra di «prestazioni sessuali», con il magistrato che si «sarebbe prodigato per far passare al concorso per l'abilitazione alla professione di avvocato alcuni candidati donne. Che ripagavano la raccomandazione con prestazioni sessuali». Sempre secondo l'accusa il giudice avrebbe «fatto ottenere il vitalizio a un ex politico calabrese che nella quinta legislatura ricopriva la carica di consigliere regionale»: lo stesso esponente politico nel 2004 era stato condannato a sei anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e per questo motivo non aveva diritto all'assegno vitalizio. In tale situazione, si legge ancora nell'ordinanza di arresto, Petrini avrebbe evidenziato una «abituale inclinazione ad accedere a proposte corruttive, del resto confermata dalla lunga serie di episodi emersi dalle indagini». Nel corso delle indagini è stato il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, una volta resosi conto che l'inchiesta coinvolgeva il suo collega Petrini, a inviare gli atti a Salerno (sede competente per gli eventuali reati commessi da giudici calabresi).

È l'ennesimo brutto colpo per una Procura, quella di Catanzaro, dove i «veleni» abbondano.

E non è finita qui.

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