La "sete" di Erdogan asciuga la Mesopotamia

Per costruire 22 dighe e 19 impianti Ankara devia Tigri ed Eufrate. Con effetti catastrofici

La "sete" di Erdogan asciuga la Mesopotamia

Mentre a Baghdad le milizie sciite filo-Iran sfidano il premier Mustafa al-Kadhimi, e si rischia una nuova guerra civile, la minaccia più grande per la Mesopotamia arriva dal Nord. Il faraonico progetto della Turchia, il Great Anatolia Project, per regolare il flusso dell'Eufrate e del Tigri ha infatti effetti devastanti sul Paese. Ankara ha in programma 22 dighe e 19 centrali elettriche e ha cominciato a riempire i primi invasi. Storicamente, l'Anatolia sudorientale si trovava sulla rotta commerciale tra Oriente e Occidente. É stata una via di passaggio cruciale per molti secoli. Tuttavia i cambiamenti nelle rotte commerciali e nei metodi agricoli hanno posto fine alla sua antica importanza.

Ora questa area è ritornata centrale. Ma con nuove tensioni dettate dal cambiamento climatico. Quest'anno si è registrata la peggiore siccità da un secolo nel Nord della Siria e in tutto l'Irak. Come racconta la storia di Kamel. Quattro anni fa, il torrente che attraversava il villaggio iracheno di al-Hamra si è prosciugato. Ora, «tutti gli alberi sono morti», ha spiegato l'agricoltore che coltiva agrumi nel villaggio. I contadini hanno provato anche a scavare pozzi ma hanno trovato le falde acquifere troppo salate e non adatte all'agricoltura. «Hanno ucciso gli alberi e tutti i nostri raccolti», ha denunciato. Le terre intorno ad al-Hamra, che un tempo erano campi e frutteti, sono diventate un deserto nel giro di pochi anni, e il letto del torrente è ridotto a un fossato arido.

Un rapporto del governo iracheno ha avvertito che sette milioni di persone rischiano di rimanere senza acqua potabile. L'aumento delle temperature dovuto al cambiamento climatico, la riduzione delle piogge, il livello ridotto dei fiumi sono una combinazione micidiale che produce già i primi effetti. Quest'anno è stata colpita in particolare la provincia di Salahaddin, a Nord-Est di Baghdad. Il cambiamento climatico è uno dei fattori che ha portato alla desertificazione e alla siccità in Irak, ma pure i livelli ridotti dell'acqua nei fiumi Tigri ed Eufrate stanno esacerbando questo fenomeno.

Tutto ciò avviene mentre i leader mondiali si sono riuniti a Glasgow per la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26). E la cooperazione internazionale è diventata indispensabile. Questa crisi idrica potrebbe accrescere anche il rischio di conflitti per l'acqua nella regione. Ma oltre alla riduzione dei livelli dell'acqua, molti iracheni devono lottare anche con l'inquinamento dell'acqua e con alti livelli di salinità. Secondo Human Rights Watch, più di 118 mila persone sono state ricoverate in ospedale nel 2018 con sintomi legati alla contaminazione dell'acqua nel governatorato di Bassora.

Secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per la migrazione nel 2019 più di 21mila persone sono state sfollate a causa della mancanza di accesso all'acqua pulita. E per il rapporto il rischio di sfollamento a causa della carenza d'acqua rimane alto. Inoltre decenni di guerre in Iraq hanno devastato gran parte delle infrastrutture idriche del paese. Anche durante il conflitto con l'Isis. Infatti la raccolta dell'acqua durante l'assedio dello Stato Islamico era a volte un'attività fatale.

Tante persone sono morte cercando di prendere l'acqua dal fiume e dai pozzi, durante i bombardamenti dei jihadisti e degli aerei della coalizione. Ma Kamel nutre ancora una forte speranza per l'Irak. E il suo urlo di disperazione gli fa dire: «Non vogliamo altri servizi, chiediamo solo acqua, tutta la mia vita dipende dall'acqua».

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