Sette mesi di promesse mancate. L'Ue è pronta a stangare l'Italia

Pil sotto zero e pareggio di bilancio rinviato di un altro anno: il governo bluffa sui conti Come per la Francia, scatterà la procedura d'infrazione. Ma Renzi non vuole ammetterlo

Sette mesi di promesse mancate. L'Ue è pronta a stangare l'Italia

Notizia. L'Italia, con la sua Nota di aggiornamento al Def approvata dal Consiglio dei ministri il 30 settembre, è di fatto in procedura di infrazione europea. Come la Francia di Hollande. Con la differenza che la Francia lo ammette e l'Italia no. Ma basta andare a leggere l'ultimo documento ufficiale del governo per avere chiaro il quadro della situazione. Della drammatica situazione.

Siamo inchiodati al tribunale d'Europa. Non è ancora emerso in maniera esplicita, ma avverrà probabilmente nei prossimi giorni, già dal vertice di Milano dell'8 ottobre, fortemente voluto dal presidente del Consiglio. E questo sancisce in via definitiva l'implosione della politica economica di Renzi, fatta di annunci e di impotenza. E di cui cominciamo a raccogliere i risultati amari. Già da quest'anno. Ma nel 2015-2016 andrà, se possibile, anche peggio. L'implosione della politica economica di Renzi è scritta nella Nota di aggiornamento al Def e nella relativa Relazione al Parlamento, con cui il governo dovrà chiedere al Parlamento, sentita la Commissione europea, una specifica autorizzazione, da votare a maggioranza assoluta in entrambe le Camere, per rinviare di un anno il pareggio di bilancio, dal 2016 al 2017.

Primo argomento del contendere. Il governo aveva già chiesto all'Europa ad aprile, nel Documento di economia e finanza (Def), il rinvio di un anno del pareggio di bilancio, dal 2015 al 2016. La risposta era arrivata a luglio, con l'invio delle Raccomandazioni, da parte della Commissione europea al nostro paese, ove si chiedevano all'Italia non solo «sforzi aggiuntivi, anche nel 2014, per rispettare il Patto di Stabilità e Crescita», ma anche e soprattutto, il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2015. Altro che rinvio al 2016.

Ecco, Matteo Renzi ha fatto orecchie da mercante. E non solo non rispetta le indicazioni europee, ma, com'è suo uso, rilancia. E fa slittare il pareggio di bilancio di un altro anno. Incurante di tutto e di tutti. Incurante, soprattutto, degli effetti nefasti che questo suo atteggiamento avrà da subito, ma ancor di più negli anni a venire, per gli italiani. Perché negli anni a venire? Per due motivi. Il primo: la bolla su cui si basava la politica economica di Renzi, vale a dire la spending review , che era diventata la cassaforte del governo, fonte di tutte le coperture, non esiste più. Per il 2015 si era partiti da un obiettivo di 15-16 miliardi di tagli alla spesa pubblica improduttiva, poi ridimensionato e portato a 13 miliardi. Ma nella Nota di aggiornamento al Def, ultimo documento ufficiale del governo, va ancora peggio: i risparmi previsti nel 2015 si fermano a 5 miliardi. E le misure che Matteo Renzi intende inserire nella Legge di stabilità, da presentare entro il 15 ottobre (conferma del bonus Irpef; nuovo taglio dell'Irap; ammortizzatori sociali; fondi alla scuola e allentamento del patto di Stabilità per i Comuni) si faranno in deficit. Il peggio arriverà ancora dopo. Negli anni successivi al 2015, la Nota di aggiornamento al Def non prevede alcun taglio di spesa, mentre si punta tutto su un aumento dell'Iva e delle imposte indirette, di 12,4 miliardi di euro nel 2016; 17,8 miliardi nel 2017 e 21,4 miliardi nel 2018. Eppure non più tardi di una settimana fa, ospite di Fabio Fazio in televisione, fresco di trasferta americana, Renzi aveva affermato: «Non ci sarà un centesimo di tassa in più». La gente non capisce ed è preoccupata. In tv ascolta una cosa, ma nei documenti ufficiali, e poi nella realtà, ne trova un'altra.

Il succo di tutto ciò è che non ci sono le coperture né per gli impegni già presi dal governo, quindi soldi già spesi, né per le promesse che, se non vuole rimetterci la faccia, Matteo Renzi deve mantenere. Ne deriva che opereranno a pieno ritmo le coperture automatiche, cioè le clausole di salvaguardia, già messe o da mettere nei provvedimenti economici del governo. E si tratta, per ciascuna di esse, di aumento delle tasse. Il futuro prossimo venturo degli italiani, quindi, è un futuro fatto di delusioni, con tutto il potere negativo, in termini economici, della delusione e del disincanto.

Il secondo motivo per cui riteniamo che gli effetti negativi del fallimento della politica economica di Matteo Renzi sui conti pubblici e nelle tasche e per la vita degli italiani arriverà nei prossimi anni è che la Nota di aggiornamento al Def ha rivisto sì al ribasso le stime di (non) crescita del Pil di aprile, ma, ciononostante, contiene ancora previsioni fin troppo ottimistiche. Non solo e non tanto per il 2014, anno in cui se chiuderemo a -0,3%, come vorrebbe il governo, saremo fortunati, ma per il 2015: crescita prevista +0,6%. Vuol dire che in un anno dovremo recuperare quasi l'1%. E se non raggiungeremo questo obiettivo, anche il rispetto del rapporto deficit/Pil entro il 3% sarà nuovamente in discussione.

Ma il governo Renzi ha messo in cantiere le misure necessarie per crescere di almeno un punto di Pil tra il 2014 e il 2015? È questo il problema. Delle riforme promesse a marzo, subito dopo l'insediamento del governo, neanche l'ombra. Se tra le «quattro case ideali da restaurare», citate sabato in visita ad Assisi, c'è ancora il lavoro, la Pubblica amministrazione, la scuola e la giustizia, vuol dire che nei suoi primi 7 mesi di governo queste riforme il premier non le ha realizzate, per quanto si fosse impegnato a farne (si riprendano le slide della conferenza dei pesciolini del 12 marzo) una al mese, tra marzo e giugno 2014. Siamo ad ottobre. E in 7 mesi Renzi non ha imparato nulla. Se a ciò aggiungiamo che metà del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea è già passato in mezzo al caos, siamo al ridicolo. Il presidente del Consiglio italiano, da presidente di turno dell'Ue appoggia il presidente francese, François Hollande, che di fatto è già in procedura di infrazione. Procedura di infrazione cui lo stesso Matto Renzi si è già candidato, con il rinvio del pareggio strutturale di bilancio al 2017, quando, come abbiamo visto, ci è già stato negato il rinvio al 2016. L'Europa non potrà accettare tutto questo. Non accetterà il non rispetto dei vincoli europei, e non accetterà l'aumento delle tasse contenuto, ancorché non detto, nei documenti economici, che è l'esatto contrario di quello che serve all'economia italiana in recessione e deflazione. Procedura di infrazione esplicita per la Francia, quindi, e implicita per l'Italia. Il che è ancora peggio. È un bluff. È un trucco: il Renzi's trick .

Questo è il tragico stallo in cui versa il nostro paese. Al di là dell'attivismo del presidente Renzi, dell'ubriacatura mediatica, delle chiacchiere, delle promesse sempre spostate in avanti, dei cento giorni che già sono diventati mille, e poi chissà.

Eppure il che fare è molto chiaro: vere riforme o applicazione delle riforme già esistenti, da quella del lavoro a quella della Pa dell'ultimo governo Berlusconi. E poi i decreti legislativi di attuazione della delega fiscale e la riduzione della pressione fiscale: il presidente del Consiglio dovrebbe portare tutto questo in Europa, già mercoledì, come dato di fatto, e non come promessa o velleità. Peccato che Matteo Renzi, con il suo partito ormai diviso in due e con i gruppi parlamentari che non controlla, tutto questo non può farlo.

L'atteggiamento che ha caratterizzato i primi 7 mesi del suo governo è quello tipico dell'azzardo morale, vale a dire il comportamento opportunistico post-contrattuale di chi prende impegni che sa di non poter o voler rispettare. Azzardo morale che, applicato al nostro premier, fa precipitare non solo la sua credibilità, ma quella dell'intero paese. Con le conseguenze che tutti conosciamo sui mercati finanziari.

Matteo Renzi sconta il modo non democratico con cui è arrivato al potere: con una congiura di palazzo, e grazie alla pavidità della vecchia guardia del Partito democratico. Renzi ha con sé il partito delle primarie, ma non i gruppi parlamentari. Ne deriva che la sua è una bolla mediatica e politica prima o poi destinata a scoppiare. Il conto lo pagheranno gli italiani.

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