Quella sfida per annunciare la morte di Al Baghdadi

Abu Bakr Al Baghdadi, in una rara immagine che lo ritrae in moschea a Mosul
Abu Bakr Al Baghdadi, in una rara immagine che lo ritrae in moschea a Mosul

La gara è in corso, e l'uccisione vera o presunta di Abu Bakr al-Baghdadi non ne è che un capitolo, per quanto «prestigioso».

A Mosul hanno piantato bandiera gli Stati Uniti, anche se fisicamente l'hanno lasciato fare all'esercito iracheno, e presto potrebbe accadere qualcosa di simile anche a Raqqa, la «capitale» dell'Isis in Siria.

L'eventuale scalpo del Califfo consentirebbe invece di segnare punti preziosi a Vladimir Putin, che ambisce ad accreditarsi davanti al mondo non solo quale «sostenitore della legalità in Siria» (rappresentata dal regime di Bashar el Assad di cui è uno stretto alleato, al punto di disporre sul territorio siriano dell'unica, strategica base navale russa nel Mediterraneo), ma anche come «difensore dei valori della civiltà» di fronte all'Isis, contro cui in realtà ha fatto finora piuttosto poco, avendo appunto altre priorità nello scacchiere mediorientale.

Pure Trump è in azione. Gli preme anche qui obliterare il ricordo di Obama, dei suoi errori e soprattutto delle sue debolezze. Senza facilonerie e trionfalismi alla G. W. Bush - il presidente che ebbe troppa fretta di proclamare a Bagdad una «missione compiuta» che compiuta non era - il titolare della Casa Bianca più vicino ai generali da molto tempo a questa parte ha invertito la rotta obamiana in Iraq, dove le forze speciali americane hanno guidato dietro le quinte la presa di Mosul. In Siria punta (con gli alleati curdi e della coalizione internazionale ma anche con forze proprie) alla presa di Raqqa. Questa nuova vittoria sul campo, unita a una durezza nei confronti di Assad che Obama aveva solo minacciato ma mai attuato, gli servirà a dimostrare ai russi e al mondo che l'America è tornata.

Mosca naturalmente non gradisce, e ha fatto capire più volte agli Stati Uniti di considerare illegale la loro presenza in Siria. Anche l'insistenza con cui Russia Today, l'emittente di propaganda internazionale di Mosca, sottolinea l'alto numero di vittime civili nell'avanzata su Mosul è un tentativo scoperto di screditare gli americani.

Rimane il fatto che, morto un califfo, se ne fa un altro.

E che una volta che lo Stato Islamico sarà stato cancellato dalla carta geografica, la partita internazionale nella regione sarà tutt'altro che finita. Piuttosto, ricomincerà sotto altre forme, perpetuando con modalità rinnovate e più complesse quella guerra fredda cui nessuno ha davvero voglia di porre un termine.

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