Sfida per stanare Hamas o obiettivo strategico. Bibi, rischio boomerang

Operazione da 12 miliardi l'anno. Rifugi inesistenti: palestinesi spinti a espatriare. Pressing sui miliziani

Sfida per stanare Hamas o obiettivo strategico. Bibi, rischio boomerang
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L'obiettivo reale non lo conosce nessuno. L'offensiva israeliana per la conquista totale di Gaza scattata ieri può rivelarsi un "bluff" per costringere Hamas a trattare la consegna di tutti gli ostaggi. Ma può anche rientrare negli obbiettivi strategici del premier Benjamin Netanyahu e del suo governo. Una cosa è certa, nel breve periodo la riconquista delle rovine di Gaza City rischia di rivelarsi, come sottolineava il Capo di Stato Maggiore israeliano Eyal Zamir, un insidioso buco nero. Lì l'esercito non ha condotto una sistematica bonifica di tunnel ed edifici diroccati. E lì si nascondono, in mezzo a circa 700mila civili, le due ultime brigate di Hamas.

Nel lungo periodo, invece, la riconquista rischia di trasformarsi in un boomerang politico ed economico per Israele. Nel 2005 il premier Ariel Sharon, fatti i conti di quanto gli costavano quei 40 chilometri per 15 di sabbia, decise di riconsegnarli ai palestinesi. Venti anni dopo il prezzo della riconquista rischia di essere molto più salato. Allora le tasse pagate dagli 8.500 coloni e dai lavoratori palestinesi coprivano una parte dei costi necessari a schierare 3mila soldati a difesa degli insediamenti. Oggi dalle macerie di Gaza non uscirebbe, un misero shekel. In cambio Israele dovrebbe sborsare, oltre ai costi per la sicurezza, anche quelli per garantire, come prevedono la Convenzione di Ginevra e le altre leggi internazionali sui territori occupati, l'alimentazione e la salute dei due milioni di palestinesi. A conti fatti non è uno scherzo.

Il piano approvato da Netanyahu prevede inoltre il dispiegamento in vari scaglioni di altri 60mila riservisti oltre a quelli già richiamati. In questo modo il totale potrebbe raggiungere in alcune fasi quota 130mila. Un numero indispensabile per garantire, grazie anche ai soldati di leva, il dispiegamento di cinque divisioni. Ma anche un costo difficilmente sopportabile politicamente ed economicamente. Molti riservisti, richiamati quattro o cinque volte dopo il 7 ottobre, sono moralmente esausti e sempre più contrari alla guerra. Secondo un sondaggio degli Agam Labs dell'Università di Gerusalemme almeno il 40 per cento non si sente più motivato.

Economicamente le previsioni sono anche peggiori. Secondo le stime dell'Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale pubblicate ad aprile l'occupazione di Gaza costerà dai 6,3 ai 7,5 miliardi di euro all'anno. Di questi almeno 5 verranno assorbiti dalle spese militari. Altri 2 andranno a coprire, invece, i costi per l'amministrazione e un minimo di servizi destinati alla popolazione civile.

Ancor più pessimista la professoressa Alice Barzai responsabile del Forum Macroeconomico Israeliano che stima costi superiore ai 12 miliardi di euro l'anno. Ma il rischio peggiore - evidenziato sul Wall Street Journal dal professor Esteban Klor, docente di economia alla Hebrew University di Gerusalemme - è che le spese militari sforino il 2 per cento del bilancio nazionale mandando a gambe all'aria l'intera economia. Per non parlare del danno all'immagine di Israele.

L'offensiva, scattata ieri, ha come obbiettivo dichiarato lo spostamento forzato della popolazione nel sud della Striscia. Lì dovrebbero venir edificati dei rifugi in cui ospitare gli sfollati garantendo aiuti e cure mediche. Ma a offensiva già iniziata poco o nulla è stato fatto.

Anche per questo molti sospettano che Netanyahu punti a mettere i palestinesi nella condizione di accettare il trasferimento in paesi come il Somaliland, il Sud Sudan o la Libia. Paesi con cui il governo israeliano sta già trattando l'accoglienza per chi vorrà lasciare la Striscia.

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