Dopo lo shock, la rabbia: "Riconoscerei quelle bestie"

Lo sfogo della giovane polacca vittima del branco di magrebini. Il ministro polacco: «Sì alla pena di morte»

Dopo lo shock, la rabbia: "Riconoscerei quelle bestie"

«Saprei riconoscere chi mi ha fatto questo». La turista polacca stuprata alle 4 di mattina di sabato sulla spiaggia di Rimini ha i volti e le voci degli uomini che le hanno rovinato la vita stampati in un angolo del cervello. La ragazza di 26 anni sta pian piano superando lo shock per il quale è ancora ricoverata all'ospedale Infermi della città romagnola ma lo stordimento e la paura sta lasciando posto alla rabbia e alla voglia di collaborare alla cattura dei quattro aguzzini che l'hanno trattata - loro bestie - come una bestia a sua volta. Che l'hanno violentata a turno per decine di minuti su un pattino in riva al mare, il mare del bagno 130 di Rimini deserto a quell'ora della notte, dopo aver reso inoffensivo l'amico e connazionale di 26 anni, a botte e a pugni e a bottigliate. Anche lui è ricoverato nell'ospedale riminese e dovrà essere sottoposto a un intervento chirurgico al setto nasale, anche lui vorrebbe resettare dalla mente quei momenti terribili, anche lui vorrebbe tornare in patria perché la normalità è un'illusione, ma allontanarsi dalla città che per loro è in provincia dell'incubo sarebbe già qualcosa.

È stato, quello di ieri, il terzo giorno di caccia all'uomo a Rimini e dintorni. I nomi non si sanno, ma l'identikit dei quattro della «piadina meccanica» è chiaro: si tratta di quattro nordafricani, probabilmente marocchini, tutti sotto i trent'anni, almeno un paio probabilmente con qualche precedente, che conoscevano la zona e quindi forse stavano «facendo stagione» a Rimini come spacciatori. Magari nella zona Miramare in cui si trova il bagno 130, in cui sono stati aggrediti i due polacchi. E poco distante dalla quale si trova la statale Adriatica a bordo della quale lavorava il trans di nazionalità peruviana stuprato a sua volta a pochi minuti di distanza dalla prima violenza.

Rimini viene passata al setaccio ora dopo ora, l'estate si chiude con in bocca il sapore metallico della violenza e della insicurezza. Gli uomini della polizia stanno esplorando ogni colonia abbandonata, ogni edificio di quella zona. Inoltre stanno tenendo d'occhio i dintorni dei locali notturni, dove si concentra l'attività di spaccio. Gli investigatori riminesi, coadiuvati dagli agenti dello Sco (Servizio centrale operativo), giunti appositamente da Roma, nelle ultime ore avrebbero in mano un elemento in più: le impronte digitali di una delle bestie, isolata sulla bottiglia di birra usata per colpire e tramortire l'amico della ragazza. Materiale che è stato comparato con le tracce organiche ritrovate sul transessuale peruviano. Esaminati fotogramma dopo fotogramma anche i video delle telecamere di sicurezza in funzione nella periferia Sud di Rimini. Inoltre si lavora sulle tracce lasciate dai telefonini delle vittime, rapinati dai quattro nordafricani.

E mentre il viceministro polacco della Giustizia Patryk Jaki non usa mezze misure («Ci vorrebbe la pena di morte e non sarebbe male tornare alle torutre») suscitando l'ammirazione del senatore leghista Roberto Calderoli («È triste dover invidiare la Polonia e la sua libertà di espressione»), la città di Rimini, ferita dall'episodio e preoccupata per le ripercussioni che la violenza del 26 agosto potrà avere sul turismo, si adopera in azioni di solidarietà in favore delle vittime. I due polacchi sono in contatto con l'assessore alla Sicurezza del comune di Rimini, Jamil Sadegholvaad.

Il Comune di Rimini si è offerto di pagare il viaggio di rientro dei ragazzi e diversi albergatori sono pronti a ospitare le vittime in futuri soggiorni. Rimini non è solo la città dello stupro, ma purtroppo ormai è anche quello.

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