Si dimezza il Recovery: fondi per tappare i buchi e non per la ripresa

Confindustria: "No investimenti, presa in giro". Nel 2021, 11 miliardi sul debito in scadenza

Si dimezza il Recovery: fondi per tappare i buchi e non per la ripresa

Pochi investimenti nella Nadef, lamenta il presidente di Confindustria. Affermazione errata, ha replicato ieri a strettissimo giro di posta il ministero dell'Economia. Argomento forte della smentita governativa: le previsioni riportare nella Nota di aggiornamento al documento economico e finanziario presentata lunedì dal governo non tengono conto del Recovery fund.

Ma la preoccupazione degli industriali non è infondata. Dalla conferenza stampa di martedì del ministro Roberto Gualtieri è ad esempio emersa la volontà di dedicare una parte importante dei fondi del Next generation Eu, come si chiama il piano europeo per la ripresa, a finanziare spese già decise. Non investimenti.

Nel 2021, secondo una stima provvisoria della Nadef, arriveranno 25 miliardi dall'Europa. Dieci miliardi di sovvenzioni, 4 del piano React Eu e 11 sotto forma di prestiti del Recovery plan.

Gualtieri ha detto che questi ultimi sarebbero «perfetti» per coprire la conferma dell'ecobonus per le ristrutturazioni al 110%. Ed effettivamente il costo del bonus nel 2020 (con effetti pluriennali) è di 11,8 miliardi di euro.

Spesa ancora non a regime, ma che riguarda una misura sulla quale c'è un impegno preciso del governo. Per gli anni a venire, dovrebbe calare la quota di sovvenzioni europee e crescere quella dei prestiti. Questi ultimi dovrebbero raggiungere i 17,5 miliardi nel 2022, 15 nel 2023, 29,9 nel 224. Il totale fino al 2026 è di 127,6 miliardi.

Possibile che il governo cerchi di replicare lo schema annunciato per il 2021 utilizzando i prestiti europei a costo quasi zero per sostituire titoli in scadenza. Un modo per mettere parte delle nuove emissioni al riparo dai rischi del mercato (non poche visto il ritorno del virus).

Il tutto a danno di altre spesa, ad esempio quelle per investimenti, come dovrebbe essere quelle finanziate dal recovery fund.

Quando sia viva l'attenzione su queste decisioni lo rivela la polemica di ieri tra Viale dell'Astronomia e il dicastero di via XX settembre.

«Nonostante le dichiarazioni» su «investimenti pubblici superiori al 3%, se si legge attentamente la Nadef, al netto degli interventi del Next Generation Eu, gli investimenti pubblici che nel 2019 sono stati il 2,3%, nel 2020 e nel 2021 sono previsti al 2,7% e non al 3%, perché c'è una pesante caduta della crescita e quindi diminuendo il Pil, mantenendo gli stessi investimenti la percentuale aumenta. Mi sembra un po' una presa in gira», ha attaccato il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che ha anche polemizzato con il governo e con l'Inps per le assunzioni («vedo che si annunciano e si fanno migliaia di assunzioni nella Pa, mi chiedo ma per fare cosa? 5.000 persone assunte all'Inps che non riesce neanche a garantire la Cig ai dipendenti»).

Il ministero ha assicurato che nello scenario che tiene conto degli interventi in programma per il prossimo anno, compreso il Recovery fund, «gli investimenti pubblici saliranno dal 2,3% del PIL del 2019 ad oltre il 3% del PIL già nel 2021 e poi fino al 4% circa nel 2023».

Ieri dall'Upb - l'Ufficio parlamentare di bilancio - è arrivato al governo un l'invito ad essere più prudente sulle previsioni.

Il controllore dei conti ha validato il Pil del 2020 (-9%) e del 2021, «pur sottolineando la presenza di significativi fattori di rischio». Ma sul biennio 2022-23 (+6% e + 3,8%) le previsioni del governo «appaiono lievemente ottimistiche», ha avvertito l'Upb.

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