Guerra in Ucraina

Si schianta l'aereo del gruppo Wagner. "Prighozin a bordo. Ucciso dai russi"

«Prigozhin? È un bastardo. Ma è il nostro bastardo», diceva un anno fa con una punta di orgoglio il generale Surovikin nel corso di un'intervista concessa a un quotidiano

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«Prigozhin? È un bastardo. Ma è il nostro bastardo», diceva un anno fa con una punta di orgoglio il generale Surovikin nel corso di un'intervista concessa a un quotidiano. Da ieri l'uomo della tentata marcia su Mosca del 23 giugno scorso, proprio appoggiato da Surovikin (agli arresti domiciliari), non c'è più. Il jet Embraer Legacy 600, con numero di coda RA-02795, sul quale viaggiava è stato abbattuto e si è schiantato tra Mosca e San Pietroburgo. Con lui sono morte altre nove persone (6 passeggeri e 3 membri dell'equipaggio), tra cui il suo braccio destro Dmitry Utkin. L'agenzia federale russa del trasporto aereo in una nota ha riferito che verrà avviata un'indagine ma è quasi impossibile non accostare la morte, o presunta tale, del fondatore della Wagner al tradimento perpetrato nei confronti di Putin.

L'aereo, di proprietà di Prigozhin, era partito dall'aeroporto Sheremetyevo di Kimki, con direzione San Pietroburgo, ed è stato colpito e abbattuto verso le 9 di mattina, ma la notizia è stata diffusa soltanto nel tardo pomeriggio. Testimoni parlano di due forti esplosioni che avrebbero provocato un cedimento strutturale del velivolo. La zona dello schianto è il villaggio di Kuzhenkino, nella regione di Tver (180 km a nord della capitale). «Stiamo definendo i dettagli dell'incidente - si legge in una nota diffusa dal governatore di Tver Igor Rudenya - ma è difficile fare delle valutazioni. La zona è boschiva e i rottami sono disseminati in un'area piuttosto vasta». I canali su Telegram della Wagner hanno per primi rivelato la morte del loro leader («ucciso dai traditori», « la morte avrà conseguenze disastrose»). Più tardi anche le autorità russe, l'agenzia per il trasporto aereo, e poi le televisioni pubbliche hanno confermato il decesso. Ovviamente quando c'è di mezzo la Russia il giallo diventa il filo conduttore di qualsiasi storia. Perché il racconto dai media vicini al Cremlino potrebbe non corrispondere totalmente alla verità. Quanto all'elenco dei passeggeri potrebbe non corrispondere alla lista ufficiale. Per ore Kiev ha parlato addirittura di «lista ricompilata a tavolino per far apparire Prigozhin tra i deceduti». Fonti tra gli 007 ucraini si sono detti sicuri che il capo della Wagner fosse in Africa, dove aveva postato un video su Telegram a inizio settimana. Tant'è che l'ex campione del mondo di scacchi Garry Kasparov, uno degli oppositori del regime di Putin, si era detto pronto a scommettere che la morte di Prigozhin «non è altro che una messa in scena. Putin ha inscenato la sua morte per averlo a disposizione in Africa, lontano dai riflettori dei media. Prigozhin pensa al suo conto in banca, e Putin a portare tutta l'Africa sotto la sua influenza».

Frammentarie notizie serali parlavano di un secondo jet Embraer 600, con numero di coda RA-02795, che apparteneva a Prigozhin, atterrato all'aeroporto di Ostafyevo, vicino a Mosca, attorno alle 22. Secondo un canale Telegram del gruppo Wagner non ci sarebbero dati esatti su quale dei due aerei fosse realmente a bordo l'oligarca. Di certo l'Embraer era inserito nella lista delle sanzioni redatta dagli Stati Uniti e il capo dei miliziani lo aveva utilizzato per volare in Bielorussia dopo la tentata marcia per la libertà su Mosca.

In tarda serata, però Yegveny Balitsk, il governatore della parte di Zaporizhzhia controllata dai russi, ha tagliato corto: «Prigozhin ormai è storia passata». La Casa Bianca in un primo tempo era rimasta prudente: la morte di Prigozhin, diceva un alto funzionario, «non sarebbe una sorpresa per nessuno».

Nella tarda serata diversi media russi hanno diffuso le immagini della sede della Wagner di San Pietroburgo: le luci accese degli uffici formavano una croce a simboleggiare il lutto per la morte di Prigozhin e Utkin.

Alcune agenzie, invece davano la notizia di uomini in fuga dai campi della milizia in Bielorussia.

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