«Siamo qui per ristabilire la verità» Ma ci sarà anche un corteo contro

nostro inviato a Asti

Troppa violenza. La carne fatta a pezzi. L'orecchio mozzato. E un numero di colpi impressionante: 40. Anzi, contando anche quelli indistinti, di più: forse 45. Quarantacinque fendenti e un coltello da cucina che non si trova, nonostante le ricerche spasmodiche strada per strada. Il corpo di Maria Luisa Fassi è stato dilaniato con una ferocia quasi sbalorditiva. « The horror» , l'orrore, avrebbe gridato il Kurtz di Cuore di tenebra . Ma la letteratura in questi casi non basta. E non ci si raccapezza e ci si chiede come abbia fatto l'assassino a sgusciare fuori dalla tabaccheria in un mattino pieno di sole a allontanarsi indisturbato fra i pedoni e il traffico frenetico di Corso Volta. Torna in mente un altro caso celebre in un altro luglio,quello del 2002: Ruggero Jucker, pure lui un cognome importante, pure lui nella ristorazione, anzi il re della zuppa per i giornali milanesi. In piena notte sventra la fidanzata Alenya con 22 coltellate. Una vicenda cupa e indimenticata. Qua siamo ben oltre, dentro un abisso che è difficile esplorare e ci sono pure, a rendere più straziante una vicenda già terribile, i segni disperati della difesa, ben visibili sulle braccia e sulle mani. Maria Luisa ha lottato per non morire. Si torna al punto di partenza. Una donna, appartenente ad una famiglia che è nella storia delle guide Michelin e aiuta i genitori nella conduzione del «Gener Neuv» ma è anche tabaccaia, apre il suo locale. E dopo pochi minuti è ridotta in uno stato che si fatica a raccontare, confermato se non aggravato dall'autopsia condotta ieri dal medico legale Rita Celli.

Chi è stato? La rapina finita male quadra fino a un certo punto. Certo, l'ipotesi del tossico, dello sbandato, de pazzo che s'intrufola nel negozio e li, nell'eclissi della ragione, compie una mattanza è fra quelle privilegiate dalla procura di Asti ma è inutile girarci intorno: il pm Luciano Tarditi si sta concentrando soprattutto sulla pista passionale. Uno spasimante respinto o comunque uno che aveva una qualche forma, magari allucinata e deformata, di rapporto con la signora. Intendiamoci: a rendere più complicato il tutto c'è la personalità di lei. Una famiglia blasonata, un matrimonio felice, due figli senza particolari problemi, la frequentazione della parrocchia del Tanaro a impreziosire un curriculum che pare, e non è retorica, un'agiografia. Ma ci sono fessure in cui si infila l'umana follia. Ed è una di queste feritoie che cerca Tarditi. Il movente sentimentale, innescato chissà come, pare più adeguato ad una vicenda che ogni giorno, mano mano che emergono i dettagli, appare più truce. E in qualche modo inquadrabile nella categoria del femminicidio: il mostro che si accanisce su una donna. C'è stato un tentativo di violenza carnale? Nulla può essere escluso a questo punto. E la squadra di Tarditi – i carabinieri del colonnello Fabio Federici, gli ufficiali del Ros piombati da Roma, le tute bianche del Ris di Parma, gli ingegneri che lavorano sulla parte informatica – corre contro il tempo. E cerca di scalare i molti ostacoli di un'indagine difficile. Si isolano tutti i reperti di quella macelleria, nel tentativo di estrarre il Dna del killer; si studiano tabulati e computer; si ispezionano i cassonetti della zona; si scrutano le telecamere fino a un chilometro di distanza.

«Non mi voglio innamorare di nessuna idea, di nessuna suggestione – ripete Tarditi – certo il quadro è impressionante, stiamo tentando di tutto, ma sono il primo a rendermi conto che dopo le prime 72-80 ore tutto diventa più complicato». Ci sarebbe davvero bisogno di un colpo di fortuna.

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