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Siccità, ora la sfida sono i dissalatori

Usare l'acqua di mare costa molto meno, ma l'Italia la snobba

Siccità, ora la sfida sono i dissalatori

Dissalare un metro cubo di acqua del mare costa 2-3 euro al massimo. Trasportare l'acqua dove non c'è costa invece tra i 12 e i 15 euro al metro cubo. Perché, allora, con il secondo anno di emergenza siccità alla porte, non si costruiscono gli impianti per dissalare? Burocrazia, tanta, troppa burocrazia. E un decreto Salva mari che impone cavilli che finora nessuno ha voluto sbrogliare.

Tra le sfide che il super commissario anti siccità dovrà affrontare ci sarà anche questa. Il tema dei costi/benefici della dissalazione dell'acqua marina è tra i punti che la cabina di regia sta affrontando in vista del Consiglio dei ministri della prossima settimana. Ovviamente, se mai si deciderà di investire negli impianti, non si può pensare a un risultato immediato che risolva tutto entro l'estate, ma - tra costruzione e collaudi - ci vorranno almeno cinque anni. «Vero è che se non si comincia non si finisce» sprona Alessandro Marangoni, alla guida di Althesys, società di consulenza che sviluppa strategie per la gestione idrica.

A tifare per la via dei dissalatori anche il presidente del Veneto Luca Zaia e il sindaco di Genova Marco Bucci. I soldi ci sono. Il Pnrr prevede 4,3 miliardi di stanziamento alla voce «Sicurezza dell'approvvigionameto e gestione sostenibile delle risorse idriche» e un impianto di medie dimensione costa circa 15 milioni.

«Ci sono ancora dei punti su cui lavorare per valutare costi e benefici - spiega Marangoni - E cioè come gestire i residui, la cosiddetta salamoia (che non è dannosa ma che non può essere dispersa in mare in un unico punto) e come ottimizzare i consumi energetici. La cabina di regia si confronterà anche su questo, ma direi che per il resto tutto il progetto sta in piedi». Al momento in Italia viene dissalato solo lo 0,1% dell'acqua ma sotto gli occhi abbiamo due esempi che dicono come il piano per dolcificare l'acqua non sia un miraggio: l'acquedotto pugliese a Taranto che produrrà acqua potabile per 385mila persone e sarà il più grande d'Italia. E Barcellona, che utilizza principalmente acqua dissalata e ha evitato di dover deviare il corso del fiume per soddisfare le esigenze della città.

Seppur convinti dell'utilità dei dissalatori, i tecnici sono ben consapevoli che, per preservare l'acqua, prima occorra sistemare la rete idrica Italiana. Innanzitutto a livello amministrativo, per evitare paradossi per cui un unico fiume venga «gestito» da dieci società diverse. Poi per rimodernizzare la rete idrica, fare in modo che gli invasi accolgano più dell'11% dell'acqua piovana. E ancora le dighe: vanno ripulite dai detriti, messe a norma. Addirittura 100 su oltre 500 vanno collaudate.

Il tempo è pochissimo.

La cabina degli esperti e dei ministri dovrà prima di tutto pensare agli interventi più urgenti in vista dell'estate e poi dovrà pianificare, senza rinviare anche quest'anno.

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