Il silenzio dei MeToo

Il silenzio dei MeToo

Esiste un Paese a due velocità: quello di chi fa parte della casta della giustizia e quello dei comuni mortali. Al primo Paese è concesso tutto, proprio tutto: anche molestare una collega e venire condannato alla perdita di due mesi di anzianità. Reato per il quale un cittadino normale - in presenza di una denuncia - rischia anni di reclusione. Ma, al netto della stragrande maggioranza di giudici e pm per bene, toga non morde toga. La storia: Giuseppe Creazzo, capo della procura di Firenze - che tra le altre cose sta indagando su Matteo Renzi e il caso Open, quindi fascicoli politicamente rilevanti - nel 2015 fa delle avances alla collega Alessia Sinatra in un hotel di Roma. Lei non denuncia i fatti, ma se ne lamenta al telefono e il suo sfogo finisce nelle intercettazioni dell'ex numero uno dell'Anm, Luca Palamara. A questo punto la questione diventa pubblica e, obtorto collo, non si può più fare finta di nulla. Così ieri il Csm punisce Creazzo con la perdita di due mesi di anzianità. Una condanna - si fa per dire -, ridicola e offensiva nei confronti della vittima e di tutte le donne. In un Paese nel quale per dieci giorni l'attenzione pubblica è stata monopolizzata dalla scellerata pacca di un tifoso (che verrà processato per molestie sessuali proprio dalla procura di Firenze, quindi da Creazzo) a una giornalista in diretta tv, nessuno batte un ciglio se un uomo dello Stato molesta una sua collega.

Ma oltre al danno, c'è la beffa.

Che fine hanno fatto le paladine del #Metoo? Dov'è andata a nascondersi l'onda di solidarietà rosa che solitamente abbraccia chi è vittima di avances non gradite? Perché il mondo femminista non apre un lungo e fecondo dibattito sulla condizione della donna nella magistratura che, a giudicare da questi fatti, è ancora ferma ai tempi delle caverne? Attendiamo le solite - e giuste - prese di posizione indignate.

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