Mario Draghi è o no disponibile a giocarsi la partita del Quirinale ormai alle porte? Sul punto il premier ha intenzionalmente scelto di tacere, nonostante da oltre un mese la questione sia stata pubblicamente e ripetutamente sollevata da un ministro a lui vicinissimo come Giancarlo Giorgetti. Eppure, arrivati alla metà di novembre, il tema è ormai sempre più dirimente. Perché è sulla corsa al Colle che si stanno dilaniando tutti i partiti. Quelli dell'ampissima maggioranza che sostiene a Palazzo Chigi l'ex numero uno della Bce e perfino l'opposizione di Fratelli d'Italia.
Certo, l'ipocrisia - spesso coniugata con uno sfrontato senso del ridicolo - continua a dettare la linea. Così, tutti gli attori in campo insistono nel ripetere urbi et orbi che della questione si occuperanno «solo a febbraio». Un timing peraltro approssimativo, visto che la prima seduta del Parlamento in seduta comune per eleggere il successore di Sergio Mattarella si terrà la terza settimana di gennaio. Eppure tutti - i partiti chiamati a votare il nuovo capo dello Stato e persino chi è tra i principali candidati alla successione - rinviano ogni commento in nome di un non meglio precisato galateo istituzionale. Destabilizzando il sistema tutto, dalla maggioranza di governo alle singole coalizioni.
Non fa eccezione il centrodestra, dove il tema è sensibile perché - numeri alla mano - Silvio Berlusconi potrebbe anche essere una delle personalità in corsa. Il leader di Forza Italia sul punto non si è mai sbilanciato, ma gli alleati - da Matteo Salvini a Giorgia Meloni - hanno più volte fatto sapere in pubblico che sarebbero ben felici di sostenerlo.
In pubblico. Perché poi, nel dietro le quinte, si torna a quella versione ipocrita che rimanda riflessioni e previsioni ai mesi a venire. Un modo per rinviare la discussione al giorno del poi e all'anno del mai. Anche in attesa che Draghi dica sul punto parole chiare. È questo il ragionamento che, non certo pubblicamente ma in privato e ripetutamente, accomuna i vertici di Lega e FdI: «Draghi sciolga la riserva». Prima d'allora, difficile fare previsioni che abbiano senso. D'altra parte, che l'ex Bce decida di giocare la partita del Quirinale scendendo in campo o che preferisca guardarla dagli spalti è dirimente. Non solo per il Colle, ma anche per il governo, per la durata della legislatura e per i fondi europei legati al Recovery plan. Perché, si sa, a Draghi in corsa per il Quirinale tutti i partiti farebbero fatica a dire no (anche se resterebbe il nodo del voto segreto di un Parlamento che teme le elezioni anticipate).
Nel centrodestra, come spesso accade, le posizioni divergono. La linea di Salvini e della Lega è - per una serie di ragioni - più complessa e sfumata. Mentre l'approccio di Fratelli d'Italia - al di là delle pubbliche dichiarazioni - è decisamente più lineare. Meloni ripete di essere in prima linea per Berlusconi, certo. Ma, lo confermano senza esitazioni tutti i dirigenti a lei più vicini, tifa per Draghi. Di più. Il tema sarebbe stato uno degli argomenti del lungo faccia a faccia che ha avuto con il premier a Palazzo Chigi mercoledì scorso. L'ex Bce al Colle, infatti, per Meloni sarebbe una soluzione win win. A seguire, la leader di FdI vede ovviamente le elezioni anticipate. Ma così non fosse e con un premier diverso da Draghi - con il quale ha scelto di fare un'opposizione ragionata e responsabile - inizierebbe una guerra senza esclusione di colpi, una campagna elettorale permanente fino alle elezioni del 2023.
Diverso l'approccio di Salvini, decisamente più incline all'ipotesi Berlusconi. Anche lui è in attesa che Draghi faccia chiarezza («aspettiamo di sapere quali sono le sue ambizioni»), ma certo non si straccia le vesti per le elezioni anticipate. Perché c'è da chiudere i progetti del Pnrr e perché dopo quasi un anno di doloroso sostegno al governo vorrebbe uscirne solo dopo essere politicamente arrivato all'incasso (riforme e fondi). Ma anche perché i sondaggi continuano a raccontare un crollo verticale della Lega, al punto che sia Ipsos che Swg stanno lavorando previsioni che ipotizzano un tendenziale del Carroccio intorno al 15%.
Ragione per cui anche i gruppi parlamentari - pur silenziati nel dibattito interno - iniziano ad essere in fibrillazione, consapevoli che in caso di elezioni anticipate buona parte dei parlamentari uscenti resterebbe a casa. Anche per questo Salvini guarda sì a Draghi, ma senza l'entusiasmo di Meloni. Peraltro, con l'ex Bce al Colle sarebbe Giorgetti - e non certo lui - ad avere un canale privilegiato con il Quirinale.
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