Se c'era qualche speranza che la catastrofe abbattutasi sulla magistratura italiana non si concludesse con un regolamento di conti tra correnti svanisce ieri mattina, quando si riunisce il direttivo dell'Associazione nazionale magistrati, il sindacato delle toghe. Il suo presidente, Pasquale Grasso, sperava di riuscire a salvare la poltrona abbandonando la sua corrente, Magistratura Indipendente, investita in pieno dallo scandalo sulla gestione delle cariche. Invece tutte le altre correnti si coalizzano e lo costringono a sloggiare. Al suo posto il pm milanese Luca Poniz, della corrente gauchiste di Area.
«Esiste una gigantesca questione morale all'interno della magistratura», è la dichiarazione d'esordio di Poniz, «le correnti sono degenerate in carrierismo». Realtà inconfutabili, ma che erano sotto gli occhi di tutti ben prima che l'indagine di Perugia portasse alla luce i veleni e le trame che legavano i vertici della magistratura italiana al sottobosco della politica, in particolare del Partito democratico. Ma finora tutti tacevano. E adesso che lo scandalo è esploso i gruppi dirigenti delle toghe sembrano continuare ad occuparsi solo e soltanto delle poltrone, senza accorgersi che a franare sotto i loro piedi è un intero sistema di potere sopravvissuto indisturbato per decenni. La cosa impressionante è che a distruggere il sistema dell'autonomia totale garantita alla magistratura sono oggi gli stessi giudici. A delegittimare il sistema non erano riusciti nè Craxi nè Berlusconi. A compiere la missione, offrendo a un'opinione pubblica disorientata e incredula uno spettacolo deplorevole sono i giudici stessi, pronti a mercanteggiare con i politici cariche indagini, manovre.
Ieri oltre a quella di Grasso salta un'altra poltrona, quella di Antonello Racanelli, segretario di Magistratura Indipendente. Nei giorni scorsi con un intervista al Giornale aveva messo in guardia contro il rischio che lo scandalo si trasformasse in un ribaltone, riportando al potere la corrente di sinistra sconfitta alle ultime elezioni. Che è esattamente quanto accade ieri. In contemporanea, dalle carte di Perugia salta fuori una intercettazione che lambisce proprio lui, Racanelli: sarebbe stato avvisato da Luca Palamara, il pm romano oggi accusato di corruzione, dell'operazione mirante ad affossare il procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo. Non è granché, ma è sufficiente perché Racanelli (motivando il gesto con l'imminente fine del mandato) tolga il disturbo.
Di fatto, con l'operazione compiuta ieri a pagare per lo scandalo è solo Magistratura Indipendente, la corrente di destra. Si salva Unicost, che pure è pesantemente coinvolta nell'inchiesta penale; si salva la sinistra di Area; si rafforza Autonomia e Indipendenza, la corrente di Davigo. Dell'azzeramento del Consiglio superiore della magistratura, che pure nei giorni scorsi era stato ventilato, non si parla più. Di fatto, si pongono le premesse perché, passata la buriana, tutto continui come prima.
Purtroppo, o per fortuna, come prima non si potrà continuare. Perché, a meno che non vengano insabbiate, prima o poi le carte di Perugia verranno alla luce: e lì ce ne sarà per tutti. Politici vecchi e nuovi, magistrati di sinistra, di destra e di centro, tutti avvolti in una rete di favori e di coltellate, in un utilizzo malsano delle garanzie di autonomia offerte dalla Costituzione all'apparato giudiziario.
(ps. Adesso che a essere toccati sono loro, si accorgono che le intercettazioni di Perugia sono state fatte violando le norme sulla immunità dei parlamentari. Finora si intercettava anche il Quirinale e andava tutto bene).
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