Da simbolo di libertà a capro espiatorio

Da simbolo di libertà a capro espiatorio

Liberi dalla guerra, gli italiani hanno subito voluto conquistare un'altra libertà: quella di muoversi. Negli anni del boom economico, sedersi alla guida di una Fiat 500 era come toccare il cielo con un dito, se poi era una 600, la famiglia poteva viaggiare più comoda sulle strade assolate della villeggiatura. Insomma, l'automobile, come la Tv e il frigorifero, erano i simboli del benessere e della rinascita del Paese. I ragazzini non vedevano l'ora di raggiungere l'età del fatidico foglio rosa per ottenere la patente. La macchina, per i neo diciottenni a cavallo degli anni '70 e '90, era il premio più ambito. E più sofferto. L'auto permetteva tutto, o quasi: andare in vacanza, portare genitori e nonni a spasso, recarsi al lavoro e rifugiarsi con morosa e plaid in camporella (l'importanza dei sedili ribaltabili e del mangiacassette). Qualche anno fa, a bordo di un'Alfa Romeo Giulietta prima serie, al seguito della Mille Miglia dalle parti di San Marino, un nonno ha indicato al nipotino proprio l'auto sulla quale mi trovavo. Era visibilmente emozionato. E per la mente gli sarà passato il film dell'età più bella: quanti ricordi e quanta nostalgia. L'automobile era considerata come un oggetto del desiderio, spesso inarrivabile. Ci si accontentava di un Pandino sognando una Ferrari, ma anche una sportivissima Alfa Romeo. Però le cose belle durano poco: prima l'avvento delle nuove tecnologie (smartphone, tablet, Internet), quindi il dannato Dieselgate, poi il boom dei social, quindi la politicizzazione della macchina, trasformata in capro espiatorio di tutti i mali del pianeta. E soprattutto delle inadempienze da parte delle istituzioni. Tassare e punire gli automobilisti ha preso sempre più piede. La macchina è sempre più vista come il «bancomat» per tappare questa o quella falla nei conti di Comuni e Governo. Il Dieselgate ha dato lo spunto ai detrattori per affossare questo motore, incuranti dei considerevoli tagli alle emissioni. E così i giovani d'oggi sono più preoccupati a chattare che a desiderare l'auto.

Oppure a scioperare per il bene dell'ambiente, secondo i dettami della quasi «nobel» Greta, come se a sfilare per le strade costringesse il buon Dio a soffiare via veleni e plastiche varie. Ecco poi gli invasati grillini, che ti pagano pure per non comprare la macchina. La «decrescita felice» lasciamola a loro. W l'automobile. W la passione. Vogliamo essere liberi. E voi, grillini, pedalate pure.

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