Magistratura

La sinistra lincia Pinelli. "Accusa il vecchio Csm"

L'attuale vicepresidente critica i predecessori: "Svolgeva attività politica". Il Pd: siamo stupefatti

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Ex magistrati e magistrati contro il governo, nuovo Csm contro quello vecchio, scheletri negli armadi che rispuntano dagli archivi delle aule giudiziarie. La riforma della giustizia voluta da Carlo Nordio prende forma, con misure approvate nel corso della legislatura e a piccole dosi: la stretta sulle intercettazioni, l'addio all'abuso d'ufficio, il ritorno alla prescrizione sostanziale dei reati e il ripristino dei diritti alla difesa con il divieto di intercettare i legali («Grande soddisfazione», dicono le Camere Penali) sono il primo passo di un ridisegno della giustizia che fa venire il mal di pancia ai soliti magistrati forcaioli, ormai in minoranza anche al Csm, vedi il leader Anm Giuseppe Santalucia scettico sulla scure ai brogliacci e sull'addio dell'abuso d'ufficio.

Non è un caso se ieri il vicepresidente dell'organo di autogoverno della magistratura Fabio Pinelli abbia rivendicato una diversità ontologica del «suo» Csm rispetto a quello precedente, che ha lasciato «troppo arretrato da gestire» per colpa di una «impropria attività politica, quasi fosse una sorta di terza Camera parlamentare» e «deragliando dalla sua funzione di organo di alta amministrazione». Un'analisi spietata ma confermata dai retroscena giornalistici, dai libri di Luca Palamara e Alessandro Sallusti, dalle rivelazioni postume di alcuni dei protagonisti di quella consiliatura che ne sono stati allontanati.

A poco vale il tentativo di retromarcia innescato da Pinelli, che si scherma dietro il ruolo del presidente della Repubblica, garante di Palazzo de' Marescialli: «Mai parlato di tradimento della funzione, ma è stato un Csm travagliato da vicende traumatiche, con tentativi di interferenze esterne che hanno indotto alcuni commentatori addirittura ad ipotizzare lo scioglimento dell'organo». Mezzo Csm di sinistra si mobilita contro Pinelli («Affermazioni discutibili»), Magistratura indipendente e i laici non si pronunciano. Area, Unicost, Md e l'indipendente Roberto Fontana condividono un documento nel quale non negano che il Csm guidato da David Ermini «ha dovuto affrontare gravi e delicate vicende» ma insistono che quel Csm si è «mantenuto sempre nei limiti delle sue prerogative». Lo stesso ex renziano si difende: «Nostri riferimenti la Carta e Mattarella».

Se il Pd si dice «attonito per il discredito che porta al Csm», Forza Italia con Maurizio Gasparri condivide «l'analisi storica» del vicepresidente Pinelli e ricorda «le cene in alberghi romani per spartizioni improprie delle varie sedi giudiziarie» riportate dai libri di Palamara, e più di recente da e La Gogna di Alessandro Barbano.

Ma c'è un altro libro che riaccende una vecchia ferita. L'altro giorno l'ex procuratore nazionale Antimafia Cafiero de Raho ha accusato il governo di essere amico dei mafiosi. È Giovanni Paolo Bernini, già presidente del Consiglio comunale di Parma per Forza Italia, pienamente assolto dopo anni dalle accuse di mafia nel processo AEmilia, che ricorda il ruolo di de Raho nella vicenda dell'ex procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini, trasferito dal Csm per incompatibilità ambientale ma forte di una recentissima sentenza del Consiglio di Stato che ne potrebbe annullare gli effetti.

Che avrebbe combinato Mescolini? Avrebbe «risparmiato» il Pd dalle indagini antimafia, almeno così sostengono alcuni pm che hanno ottenuto dal Csm la sua rimozione. Le sue indagini colpirono soltanto due politici di centrodestra, uno è Bernini che nei suoi libri Storie di ordinaria ingiustizia e Colpo al Sistema Bernini ricorda che «passarono 10 mesi prima di inviare la relazione sull'operato di Mescolini dall'Antimafia alla Procura generale della Corte di Cassazione» nella quale si denunciava che il pm aveva sottovalutato una segnalazione che lanciava ombre sull'allora braccio destro di Graziano Delrio, sindaco Pd di Reggio Emilia. Chi si tenne la segnalazione nel cassetto? Proprio de Raho. Lo stesso di cui, secondo le chat di Palamara, si preoccupava Marco Minniti, dominus indiscusso della sinistra in Calabria, che nel 2021 all'indomani della mancata nomina del Csm a Procuratore a Napoli, scrisse a Palamara: «Salviamo il soldato Cafiero». Che da Reggio Calabria finì all'Antimafia. Fu quel Csm a deciderlo.

Coincidenze, certo.

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