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La sinistra non accetta una donna premier: l'8 marzo è cosa loro

Nessun riconoscimento per il ruolo ma solo attacchi anche nella giornata della "festa"

La sinistra non accetta una donna premier: l'8 marzo è cosa loro

È la festa della donna ma è anche il giorno giusto per graffiare. Altro che celebrazioni vellutate di quel che si è conquistato ed è cambiato. Il tetto di cristallo è saltato, le gerarchie del potere femminile sono in via di assestamento e la ricorrenza serve per marcare le differenze. Elly Schlein, ormai una delle figure più influenti del Palazzo e prima segretaria nella storia del Pd, rompe l'incantesimo sulla prima donna a Palazzo Chigi: «Se Giorgia Meloni - spiega a Sky Tg24 - vuole aiutare le donne, non le colpisca sulle pensioni riducendo Opzione donna».

Nessuna tregua, fra le mimose e i sorrisi di un mondo che comunque non è più lo stesso, ma il dito puntato contro la premier. Fosse stata a sinistra, oggi sarebbe stato il giorno della beatificazione in vita della Meloni e sarebbe fin troppo facile immaginare agiografie, film, podcast sulla donna che ha mandato in soffitta il pregiudizio.

Ma la giornata va così, anche se la stessa Schlein riconosce qualcosa all'avversaria: «Ho apprezzato la chiamata che mi è arrivata dopo le primarie dalla presidente del consiglio. Certo, abbiamo modi diversi di intendere la politica e la leadership ».

Quelle due filastrocche contrapposte: «Sono una donna, sono una madre...», «Sono una donna, non sono una madre»... E non è nemmeno detto che la rincorsa delle donne debba essere dettata dal metronomo del femminismo. Culture diverse che devono dialogare, senza cadere per forza nella retorica del politically correct. «Ciò non vuol dire - è la conclusione - che non ci possano essere terreni comuni, come l'impegno al contrasto della violenza di genere».

E infatti nella cornice del Quirinale Meloni ascolta le voci di donne che si battono per la libertà e contro ogni discriminazione, poi sui social è come se accendesse una candela per ogni vittima della violenza e della sopraffazione: «Lasciatemi ricordare giovani donne come Saman Abbas, Pamela Mastropietro, Sara Di Pietrantonio e tutte coloro che sono state uccise per mano violenta. È per loro, e per ogni donna vittima di persecuzione, che dobbiamo continuare la battaglia per contrastare ogni forma di violenza». Quell'elenco di croci, la Spoon River domestica, mette tutti insieme. C'è molto da fare più che da polemizzare. La strada per il raggiungimento di una parità effettiva - spiega il presidente della Repubblica - è ancora lunga e presenta tuttora difficoltà».

La cerimonia. L'emozione. I traguardi da raggiungere. E le scintille. A sinistra fanno fatica ad ammettere che la prima inquilina sia entrata a Palazzo Chigi dal lato opposto dell'emiciclo. E i fiori lasciano il posto alle bordate. Su Repubblica on line Luigi Manconi sviluppa una dissertazione che gira sempre intorno al premier, provando a mostrarne i limiti su un altro piano: «È il paradigma detto il troppo stroppia - scrive in un pezzo intitolato Ma pensate davvero che Giorgia Meloni?- o dell' alzare l'asticella». Già, che c'entra Meloni con queste considerazioni? C'entra eccome, perché definisce, nientemeno, «il suo modello dialettico». Che sarebbe il seguente: «Si costruisce una rappresentazione palesemente esagerata, la si attribuisce all'avversario e poi, agevolmente, la si smonta, giocando sulla improbabilità delle sue dimensioni abnormi». E così, argomenta Manconi, passano inosservati scorie e veleni che invece sono contenuti in quella visione del mondo. L'esempio chiarisce pure troppo: «Meloni: pensate davvero che io voglia instaurare un regime fascista?». La risposta è no, ma così non si vedrebbero i germi «dell'autoritarismo, della censura e della repressione» iniettati nella società.

Insomma, l'8 marzo diventa una prova generale del 25 aprile.

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