Pressato da Macron e dalla Merkel (mentre la Casa Bianca sceglie il silenzio), alla fine Vladimir Putin ha dovuto fare qualche concessione. Così da oggi entrerà in vigore a Ghouta Est, dopo una settimana di bombardamenti che hanno ucciso oltre 550 civili, una «tregua umanitaria diurna» di cinque ore, dalle 9 alle 14 ogni giorno, «per evitare perdite tra la popolazione civile».
Dai leader di Francia e Germania era arrivata a Putin la richiesta di «esercitare la massima pressione possibile» sul regime siriano, ma di fatto è la Russia a decidere tutto. Tant'è che è stato il ministro della Difesa russo Shoigu ad annunciare che «nel prossimo futuro saranno aperti corridori umanitari per consentire ai civili di lasciare Ghouta Est». Il Cremlino ha ribadito che considera i residenti del sobborgo orientale di Damasco «ostaggi dei terroristi», escludendo di fatto con ciò la possibilità che ci si possa opporre volontariamente al regime di Assad. Soprattutto, da Mosca arriva una sdegnata smentita alle accuse rivolte a Damasco di aver usato anche un ordigno contenente gas cloro. «Si tratta di una provocazione - ha detto il ministro degli Esteri Lavrov - ed eravamo preparati a riceverla. Ce ne aspettiamo anche delle altre».
Mentre è lecito chiedersi cosa continuerà ad accadere agli abitanti di Ghouta Est tra le 14 e le 9 del mattino, l'attenzione degli osservatori rimane puntata anche su quanto accade nel resto della martoriata Siria, a partire dalla provincia nord-occidentale di Afrin, dove continua l'attacco dell'esercito turco contro le postazioni tenute a fatica dalle milizie curde Ypg appoggiate da forze regolari di Damasco. Erdogan fa orecchie da mercante ai richiami del presidente francese Macron, secondo il quale la tregua siglata tre giorni fa all'Onu (e per ora non entrata in vigore) riguarda anche Afrin, e anzi annuncia l'invio sul posto al fianco delle forze turche di un battaglione di 400 curdi addestrati in Turchia e pronti a «combattere contro i terroristi dell'Ypg». Una mossa più che altro di propaganda, utile a Erdogan per poter sostenere che Ankara non fa la guerra ai curdi ma solo «ai terroristi».
Non è tutto. Il «sultano» turco, sempre più proiettato sull'uso della forza in politica estera, segue personalmente lo sviluppo di armamenti di ultima generazione. La sua attenzione è concentrata su carri armati senza equipaggio, da manovrare come se fossero droni.
Il «panzer» turco si chiamerà Altai e, come ha anticipato il premier Yildirim, l'obiettivo è di costruirne presto 250 esemplari in collaborazione con l'industria bellica tedesca. Non è più tempo, insomma, di liti con la Germania.
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