Siriano suicida in cella Berlino sotto accusa: «È stato un fallimento»

Noam Benjamin

Berlino «Non sarebbe dovuto accadere ma purtroppo è successo, nonostante abbiamo fatto il possibile per evitarlo». Con il tono delle occasioni gravi, il ministro della Giustizia della Sassonia, il cristiano democratico (Cdu) Sebastian Gemkow, ha aperto la conferenza stampa delle autorità di Dresda sul suicidio in cella di Jaber Albakr, il ventiduenne siriano arrestato a Lipsia nei giorni scorsi dopo una caccia all'uomo che aveva tenuto la Germania col fiato sospeso. La polizia si era messa sulle sue tracce sabato scorso, dopo che un'informativa dei servizi di intelligence aveva fatto scattare l'allarme terrorismo. Nella sua casa di Chemnitz l'uomo non si era fatto trovare ma al suo posto c'era un chilo e mezzo di Tatp, l'esplosivo utilizzato dall'Isis a Parigi e Bruxelles negli attentati degli scorsi mesi. Dopo aver messo in allarme una serie di aeroporti per un rischio attentato imminente, evacuato interi quartieri e fatto brillare l'esplosivo in loco, la polizia riuscirà ad acciuffare Albakr a Lipsia, 80 km più a nord, grazie all'aiuto di altri due siriani che, riconosciuto il ricercato, gli avevano offerto ospitalità, salvo poi legarlo e affidarlo alle autorità. La stessa cancelliera Merkel ringrazierà i rifugiati che avevano contribuito alla sua cattura.

Giustizia era fatta. La Germania aveva fermato un pericoloso membro dell'Isis, addestrato e ben armato. Nonostante le speranze degli investigatori, il suo contributo alle indagini sul terrore resterà però nullo. Il giovane siriano si è tolto la vita mercoledì sera impiccandosi con la sua stessa camicia alle sbarre della cella del carcere di Dresda, dal quale lunedì prossimo avrebbe dovuto essere trasferito in una struttura federale.

«Libero Stato fallito». Così lo Spiegel boccia senza appello le autorità del Libero Stato di Sassonia nonostante o forse proprio in virtù della conferenza stampa di giovedì mattina. Il detenuto «non aveva fornito alcuna indicazione che facesse pensare al suicidio», hanno ripetuto come un mantra il ministro Gemkow e il direttore del carcere di Dresda, Rolf Jacob, ricordando anche la perizia dello psicologa del carcere «una persona con almeno quindici anni di esperienza», ma nessuna con sospetti terroristi. Le autorità di Dresda sono cadute dal pero prestando così il fianco alle critiche di chi le accuse di impreparazione e incompetenza.

Dalla sua cattura anomala alla sua morte in cella sotto sorveglianza, la vicenda di Albakr sembra un giallo di Le Carrè. Subito sottoposto a regime di isolamento, all'inizio della sua detenzione il giovane veniva controllato a vista ogni 15 minuti. Intervallo poi sceso a 30 dopo i colloqui con lo psicologo. «Era calmo», hanno ripetuto ministro e direttore, noncuranti che il siriano fosse in sciopero della fame e della sete. Il giovane aveva anche distrutto la luce a soffitto, probabilmente nel tentativo di uccidersi con la corrente elettrica. Ore dopo aveva fatto lo stesso con la presa a muro, non sapendo che era stata staccata dalla rete. «Abbiamo pensato a un gesto di vandalismo», hanno spiegato le autorità. «L'ultimo controllo era stato fatto alle 19.30 e quello successivo sarebbe dovuto avvenire alle 20», ma un giovane apprendista secondino alle 19.45 decide di propria spontanea volontà di fare un nuovo giro prima di staccare. Qua scopre Albakr impiccato e dà l'allarme.

I tentativi di rianimazione proseguono fino alle 20.15, quando il giovane siriano è dichiarato morto. L'avvocato d'ufficio assegnato al giovane si dichiarerà «senza parole: è chiaro che le misure di sorveglianza non erano adeguate».

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