Soldati austriaci contro la "Caporetto" dell'immigrazione

Il governo di Vienna intenzionato a bloccare il flusso di stranieri: «Se necessario aumenteremo i militari»

Soldati austriaci contro la "Caporetto" dell'immigrazione

Giuseppe Marino Roma «Centinaia di soldati al Brennero». Se non fosse un annuncio ufficiale di ieri del governo austriaco parrebbe un dispaccio d'altri tempi, capace di evocare eventi drammatici della storia, da Caporetto all'Anschluss. Invece è il metro di quel che sta accadendo a un confine di cui l'Italia non era più costretta a preoccuparsi da anni. Lo testimonia il fatto che a «sorvegliarlo», sul versante italiano c'è un contingente di appena 22 uomini, turnazione inclusa. Ma si sapeva da giorni: l'Austria ha deciso di chiudere il rubinetto dell'immigrazione nel modo più drastico: blindando i confini meridionali. Vienna aveva già mobilitato i riservisti e ingaggiato anche volontari, per un totale di oltre 900 uomini.

L'arrivo dei soldati annunciato ieri fa impressione e sta suscitando reazioni preoccupate al di qua del confine, in particolare in Alto Adige. E si capisce perché la mossa di Vienna rischia di creare sul versante italiano del Brennero l'«effetto campo profughi», con scene simili a quelle di Ventimiglia, dove i controlli imposti dai francesi alla frontiera provocarono la protesta degli immigrati accampati sulla scogliera ligure. Ma il ministero della Difesa austriaco ha ribadito che non si farà condizionare dalle critiche provenienti dall'Alto Adige: «Istituiremo controlli rigidi alle frontiere, che nelle scorse settimane hanno visto affluire circa 5.000 migranti. - ha detto il ministro Hans Peter Doskozil - Se necessario il contingente pronto per il Brennero sarà rafforzato». L'Italia pare assistere imponente al ritorno di muri che la vanno circondando. Ieri il ministro dell'Interno Angelino Alfano in un'intervista al Financial Times ha giocato la carta disperata di un appello agli altri leader europei perché venga creato un meccanismo di respingimenti per l'Italia analogo a quello costruito attraverso l'accordo con la Turchia per bloccare la rotta attraverso la Grecia e i Balcani. Sia Alfano che Renzi si erano sempre vantati di aver «europeizzato» il problema, coinvolgendo Bruxelles e gli Stati membri.

Nell'intervista al quotidiano finanziario invece Alfano riconosce che «l'Europa è stata capace di trovare le risorse quando è stato urgente, mi riferisco alla Turchia». Ora, conclude il ministro, l'Unione deve fare lo stesso con l'Italia, aiutandola a creare accordi di rimpatrio con i Paesi africani da cui partono i migranti. «Se il sistema dei rimpatri non funzionerà -incalza Alfano- a fallire sarà l'intera agenda Juncker sull'immigrazione». Ieri intanto sono partiti i primi «respingimenti» previsti dall'accordo con la Turchia sotto forma di scambio tra irregolari, ricacciati indietro, e aventi diritto all'asilo, accolti in varie nazioni (ieri i primi siriani sono arrivati in Olanda). Ma per evitare il rischio che l'Italia con le frontiere blindate si trovi a gestire da sola una nuova emergenza (Alfano al Financial Times parla del rischio che si superi il record del 2014 di 170.000 sbarchi in Italia), è più importante il confronto che si apre oggi sulla riforma del sistema di accoglienza previsto dalla Convenzione di Dublino. Dalle prime anticipazioni, la Commissione europea discuterà e adotterà un testo che centralizzerà l'esame delle richieste d'asilo, affidandole a un organismo unico per tutta Europa.

Il gravoso compito spetterebbe a un'agenzia che già esiste, l'Easo, che ovviamente andrebbe rafforzata. Sarebbe l'embrione di un sistema più equo di gestione davvero europea del fenomeno migratorio. Ma siamo solo ai primi passi.

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