"Sono giovani che sbagliano". Il bluff dei moderati a Milano

Il leader Piccardo dice "no alla guerra" e sembra giustificare i kamikaze. In piazza solo 500 persone, che chiedono moschee

"Sono giovani che sbagliano". Il bluff dei moderati a Milano

Milano - «No al terrorismo» certo, ma non è tutto. «No al terrorismo e no alla guerra», è il vero cuore del messaggio che arriva da Milano. «No al terrorismo e sì alle moschee» recitano i cartelli preparati dai centri islamici, che da anni chiedono al Comune sedi ufficiali in cui pregare. La condanna dell'Isis arriva forte e chiara (nonostante un'amplificazione che si rompe un quarto d'ora dopo l'inizio della manifestazione). «Cordoglio e sdegno per i fatti di Parigi» dice il leader delle associazioni musulmane Davide Piccardo dal palchetto montato in piazza San Babila. Ma non è tutto. Ci sono «alcuni no e tanti sì». E li urla, Piccardo, no alla guerra «combattuta contro il proprio popolo in Siria», «no alla violenza a Gerusalemme e no alle occupazioni militari». Grande applauso. «No all'antisemitismo e no all'islamofobia», aggiunge. «I nostri fratelli e sorelle francesi sono morte ingiustamente - dice - e altri giovani si sono sacrificati credendo di morire per qualcosa. Sbagliando». Infelice.

Alla manifestazione convocata da centri islamici, giovani musulmani e da «Partecipazione e spiritualità musulmana» hanno aderito novanta sigle di tutto il Nord Italia. Ma, strette fra le fontane e il metrò di San Babila c'erano circa 500 persone, neanche dieci per ogni sigla. «Una piccola cosa fatta a beneficio dei media» constata un po' sconsolato in piazza l'ex Pd Corradino Mineo. Alcune centinaia di persone, in tutto. Poche, soprattutto se confrontate alle 15-20mila che normalmente animano il Ramadan in città. Non solo, per la metà erano italiani. Pacifisti. La solita sinistra che da decenni anima le piazze del Paese (reali e oggi virtuali), mobilitandosi puntualmente contro il presunto «imperialismo» dei Paesi occidentali (Stati Uniti in testa) e di Israele. E infatti la sintonia fra le due anime della piazza sembra perfetta, a parte forse l'imbarazzo che dovrebbero provare i laicisti italiani a partecipare a un comizio che a tratti sembra una preghiera, inframezzata e chiusa con invocazioni religiose.

In piazza tanti cartelli, pochissime bandiere. Qualcuna della pace, una della Palestina. Non si vedono tricolori francesi, quelli che dilagano sui profili Facebook in questi giorni. Prendono la parola gli imam della moschee di Cascina Gobba e di Segrate. Si sgolano per spiegare che islam e Isis non hanno niente a che fare. Che not in my name. Che chi uccide - insomma - non lo fa a nome dei musulmani. E il Caim sottolinea che con il riconoscimento delle moschee ci sarebbe maggiore sicurezza. Il candidato sindaco Pd Pierfrancesco Majorino sente «parole forti e importanti» ma l'abbinamento col tema moschee non convince un suo avversario, un vecchio socialista come Roberto Caputo (oggi Pd) che bacchetta: «Ho trovato sbagliato il manifesto no al terrorismo sì alle moschee non può essere uno scambio, messo così lo sembrerebbe, oggi era la giornata di dire no al terrorismo e agli stragisti assassini senza se e senza ma». Esattamente come i pacifisti e i terzomondisti italiani, invece, i dirigenti delle moschee milanesi parlano di un mondo «attraversato da violenze e conflitti». Un mondo in preda a una spirale di violenza, come si dice.

«È necessario affermare che non si può uccidere e prevaricare in nome di Dio - la dichiarazione ufficiale - e non si può fare in nome della libertà, della democrazia e non lo si può fare nel nome del profitto, vero idolo di questi tempi». Il rischio è che non si sappia più quale sia la causa e quale l'effetto.

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