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"Sostenere Moratti". De Benedetti dà gli ordini al Pd

L'Ingegnere espone la strategia per le regionali in Lombardia: bisogna fare cadere Salvini

"Sostenere Moratti". De Benedetti dà gli ordini al Pd

Bei tempi, quelli della «tessera numero 1» del Pd. Oggi Carlo De Benedetti, l'Ingegnere per gli amici (era un vezzo civettuolo per mettersi in competizione con l'Avvocato per antonomasia, ossia Gianni Agnelli: roba del secolo scorso) la tessera che un tempo rivendicava la butta alle ortiche: il Pd? «Un partito di baroni imbullonati da dieci anni al governo senza aver mai vinto una elezione», inveisce dalle colonne del Corriere della Sera. La campagna elettorale appena finita è stata «un disastro», il Pd «non ha saputo indicare una sola ragione per votarlo, solo ragioni per non votare gli altri».

L'invettiva debenedettiana è lunga e articolata, ma l'obiettivo dell'intervistona non è - solo - quello di sparare sulla Croce Rossa (con argomentazioni un po' confuse e contraddittorie, a dire il vero): l'Ingegnere ha una ricetta da dettare ai dem per vincere le regionali in Lombardia e - quel che più conta - dare un colpo di grazia al neonato governo Meloni: «Un candidato del Pd non vincerà mai», nota De Benedetti. Mentre invece «contro Fontana, Letizia Moratti può farcela. Se il Pd la appoggiasse, ce la farebbe». Con un doppio risultato: «Se Salvini perde la Lombardia, cade. E se cade Salvini, cade il governo».

Non è certo il primo, l'Ingegnere, a fare questo ragionamento: la candidatura Moratti, proprio in questa chiave, ha trovato subito l'appoggio del Terzo Polo di Calenda e Renzi, ma anche quello di larga parte della buona borghesia progressista di Milano. Da Ferruccio De Bortoli a Nando Dalla Chiesa, fino ad Alessandra Kustermann, ginecologa fondatrice dei Centri anti-violenza e da sempre impegnata a sinistra (viene dal Pci) e all'archistar Fabio Novembre. Persino il sindaco Beppe Sala e l'ex sindaco e giurista Giuliano Pisapia, dicono in molti, non sarebbero contrari a schierare il Pd a fianco di Letizia Moratti. «É un ragionamento politico lucido: se vogliamo provare a vincere in Lombardia, per la prima volta, dobbiamo trovare un candidato che rompa gli schemi e peschi anche nel centrodestra moderato», dice un ex ministro del Pd. «Ma la dirigenza locale e nazionale dei dem ormai è politicamente fuori dal mondo: continuano ad inseguire i Cinque Stelle, proponendo un candidato gauchista come Pierfrancesco Majorino, senza capire che Conte rifiuterà qualsiasi accordo con noi fino alle Europee del 2024». Col rischio, fanno notare in molti, che il Pd non arrivi neppure secondo alle elezioni regionali lombarde: se la Moratti restasse comunque in campo, e il Pd scegliesse la ridotta di sinistra in competizione con i Cinque Stelle, il suo candidato potrebbe finire addirittura al terzo posto. Per la gioia di Calenda e Renzi.

Il gruppo dirigente dem lombardo (e romano) punta infatti sull'europarlamentare Majorino per «riaprire il dialogo col campo largo» e sbarrare la strada non solo a Moratti, ma anche a un candidato riformista come Pierfrancesco Maran, assessore di Sala e campione di preferenze alle ultime elezioni, che ha la pecca di non piacere ai grillini. Che comunque non si alleeranno col Pd. Il tutto mentre anche nel Lazio ci sono sondaggi che parlano di un centrodestra (con candidato Fabio Rampelli di Fdi, che però non avrebbe l'avallo di Giorgia Meloni) intorno al 50%, e con il Pd sotto il 16% surclassato persino da M5s.

Il candidato dell'alleanza tra Dem e Terzo Polo, l'assessore alla Sanità della giunta Zingaretti Alessio D'Amato, si fermerebbe sotto al 30%.

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