Sovranisti appesi alla Le Pen Ma la linea Ue non cambia

L'ultra destra cresce senza sfondare. La maggioranza europeista esclude possibili intese con gli estremisti

L a marea nera è scomparsa annacquata, svigorita e stemperata da quella ben più vigorosa di un elettorato europeo la cui affluenza ha superato tutte quelle dell'ultimo ventennio. E così alla fine i temuti sovranisti si rivelano una tigre di carta capace di ruggire, ma non di trionfare. In questa realtà amplificata non da slogan virtuali, ma dal voto reale il Partito Popolare di Angela Merkel e Silvio Berlusconi si rivela più coriaceo del previsto. Mette insieme poco più di 170 eurodeputati a fronte dei 216 del 2014, ma resta la prima formazione anche se i socialisti precipitati a 150 seggi non bastano più a garantirgli la maggioranza. Ma la vera ondata abbattutasi su Bruxelles è quella verde. Un'ondata cresciuta fino a raggiungere il 22% in Germania e il 12,8 in Francia. Un chiaro indicatore di come i messaggi dell'indisponente Greta segnalino una coscienza ecologista assai diffusa.

Alle sferzate di quell'ondata fa da contrappunto il baratro apertosi sul versante francese di quell'asse Parigi-Berlino vero cardine dell'Europa degli ultimi decenni. La sconfitta di Emmanuel Macron, umiliato dalla resurrezione di Marine Le Pen, cancella il patto di Acquisgrana con cui Germania e Francia s'impegnavano a dominare il Vecchio Continente. Sul fronte sovranista i ruggiti sopra le righe sembrano mettere in fuga gli elettori anziché attirarli. Significativamente l'unico successo arriva da una Francia dove Marine Le Pen cancella la famigerata «demonizzazione» che in passato la bloccava a un passo dalla vittoria. Grazie a un Front ribattezzato Rassemblament National e ad un programma che non prevede più l'addio all'euro e a Bruxelles tranquillizza gli elettori e si guadagna una patente di credibilità, promettendo di «costruire un super gruppo di sovranisti in grado di pesare sull'organizzazione dell'Ue». Evitando di confondersi con vandali, casseur e gilet gialli ed allineandosi ai valori repubblicani conquista consensi non solo a destra e a sinistra, ma anche in quel centrodestra gaullista che l'ha sempre sdegnata. E alla fine la sua lezione di equilibrio convince assai di più di quella di un Salvini dimostratosi incapace di catalizzare l'avanzata sovranista.

In tutto questo i popolari non hanno molto di cui sorridere. Mantenute a stento le posizioni devono riconquistare la fiducia dei cittadini, ridisegnare l'Unione e strapparla ai giochi di burocrati ed elite. Ma per farcela devono prima cesellare una coalizione in grado di superare i 376 voti della soglia di maggioranza. Un'impresa non facile per un Ppe precipitato da 216 a 170 seggi che dopo il nein di Manfred Weber a qualsiasi alleanza «con gli estremisti» può solo chieder l'aiuto di socialisti e Alde. La presunta nuova alleanza, già ribattezzata «coalizione dei perdenti», avrà non poche difficoltà a esprimere politiche coerenti. Anche perché chiedere ai socialisti un ritorno al passato dopo le mazzate subite da un elettorato sdegnato per le politiche neo-liberiste inseguite in Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia equivale a parlare di corda in casa dell'impiccato. La coalizione allargata ai liberali dell'Alde rischia inoltre di rendere il Ppe ancora più debole su quel fronte del centrodestra dove l'emorragia sovranista erode comunque consensi. E, da quel punto di vista, ancor più rovinosa appare un'alleanza allargata fino ai Verdi.

A render tutto più enigmatico s'aggiunge il timore di una tentazione - o illusione - socialista di stringere velleitari patti alternativi con ecologisti, liberali e ultra sinistra. Un'alleanza priva di numeri, ma capace di paralizzare un Europarlamento spaccato tra Popolari, Sovranisti e Sinistra. E a complicare il tutto s'aggiunge il grigiore di un Manfred Weber candidato bavarese alla guida della Commissione che invece di trainare Cdu e Csu le fa scivolare al 28% con una perdita di altri cinque punti rispetto alla già disastrosa debacle del 2017.

Il passo falso inevitabilmente regalerà nuovi argomenti a chi pretende di archiviare la regola che assegna la scelta dello Spitzenkandidat al partito più votato e contrapporre a Weber il più qualificato socialista olandese Frans Timmermans già Commissario e vice presidente della Commissione. Protetto dal ritorno alle urne degli europei il Ppe deve insomma affrontare la sfida più difficile dimostrando d'esser riuscito a far sopravvivere non solo se stesso, ma anche il proprio progetto d'Europa.

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