I brutti voti a scuola per una ragazzina di Melito porto Salvo in provincia di Reggio Calabria, significavano niente telefono, niente computer, niente Facebook. Sono questi secondo gli investigatori i folli motivi per cui la giovane, appena diciasettenne, ha ucciso lo scorso maggio la madre, inscenando poi l'aggressione da parte di un presunto sicario: «Un uomo alto alto, almeno due metri» aveva ripetuto agli investigatori.
Dopo mesi di indagini gli uomini del comando provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria, guidati dal colonello Lorenzo Falferi, adesso l'hanno arrestata. Ad uccidere Patrizia Crivellaro, quarantaquattrenne infermiera trovata in una pozza di sangue con una ferita di arma da fuoco alla testa, sarebbe stata proprio la figlia. Era una calda serata di maggio, il 25 per l'esattezza, quando nel cuore della notte i militari arrivarono a sirene spiegate nell'abitazione di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) da dove era partita la richiesta d'aiuto. A chiamarli, insieme con un'ambulanza, era stata proprio la ragazza. Nel corso di tutta la notte e nei giorni successivi, la giovane era stata più volte sentita dagli investigatori e numerose sarebbero state le incongruenze riscontrate nel suo racconto della studentessa, a partire dalla descrizione del fantomatico assassino. Eben presto i sopsetti sono caduti proprio su di lei. Le tracce di polvere da sparo rilevate con la prova dello Stub, oltre a un paio di impronte digitali, alla fine hanno convinto anche il giudice per i Minori a ordinarne l'arresto. Sconcertante il movente, quel groviglio di rancore e odio che ha scatenato la furia omicida: le «punizioni» che la donna, impartiva alla figlia che non aveva un buon rendimento a scuola. Via telefonino e pc, una privazione che la ragazzina non poteva sopportare. Quindi bisognava ribellarsi a quella «autorità» che pretendeva troppo. Bisognava eliminarla. Disfarsene a costo di ucciderla. Ma come fare? Nella mente della ragazzina si è scatenato un corto circuito capace di partorire un piano tanto folle quanto imrobabile. «Ha agito con una lucidità estrema- scrive il Gip nella sua ordinanza_ pianificando tutto come quando ha raccontato di un killer professionista».
Ha atteso che il padre, andasse a lavorare nel turno di notte, e che la madre si addormentasse, poi è entrata in camera da letto con la pistola che l'uomo deteneva in casa, ha puntato l'arma alla tempia della madre ed ha fatto fuoco. Un solo colpo, mortale. Subito dopo come se nulla fosse, ha chiamato lo zio, fratello della madre, avvertendolo di aver udito un colpo di arma da fuoco, e aver scorto un uomo sparire nel buio subito dopo. Un racconto che la ragazzina aveva fatto nell'immediatezza anche agli investigatori. Una storia che aveva ripetuto qualche giorno dopo al magistrato che coordinava le indagini. Ma già da subito qualcosa aveva cominciato a scricchiolare. Una serie di incongruenze, una serie di riscontri non andati a buon fine, hanno fatto alzare l'asticella dell'allarme degli investigatori. Cosi la prova del guanto di paraffina che rileva presenza di polvere da sparo su chi ha usato armi; le impronte digitali trovate sulla pistola e quelle parziali del dito indice della mano destra della ragazza lasciate sul grilletto oltre a una serie di «menzogne» hanno fatto il resto. Una prova, quella dello Stub, fondamentale per incastrarla considerato che la giovane aveva sempre negato di avere toccato la pistola.
La ragazza deve rispondere di «omicidio
aggravato dai motivi abbietti e futili» nei confronti della madre. Il gip ha disposto anche il trasferimento della ragazza in un istituto penitenziario minorile fuori dalla Calabria.di Filippo Marra Cutrupi da Reggio Calabria
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