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Spazzacorrotti, ora la Consulta boccia la retroattività

La Corte Costituzionale boccia la retroattività della legge che prevede il carcere per chi è accusato di corruzione nei confronti della pubblica amministrazione: "È inapplicabile ai vecchi reati"

Spazzacorrotti, ora la Consulta boccia la retroattività

Sarà una festa a metà quella del Guardasigilli Alfonso Bonafede, che la prossima settimana, assieme a Virginia Raggi, si preparava a celebrare l’anniversario dell’entrata in vigore della legge Spazzacorrotti. "La più importante legge anti-corruzione dai tempi di Mani Pulite", l'hanno definita i Cinque Stelle.

Ma secondo la Corte Costituzionale la norma, che prevede il carcere per i reati di corruzione contro la pubblica amministrazione, non può avere effetti retroattivi. A sollevare dubbi in tal senso, in questi mesi, erano stati diversi giudici, anche se la legge, che non consente ai condannati per questo tipo di reati di beneficiare degli arresti domiciliari o dei servizi sociali, era già stata applicata in diversi casi. Uno su tutti quello dell’ex governatore lombardo, Roberto Formigoni, per il quale un anno fa si aprirono le porte del carcere anche per effetto della riforma voluta dai grillini.

Oggi però la Consulta mette un freno alla legge entrata in vigore lo scorso gennaio ricordando che, in base ai dettami costituzionali, non si può essere puniti "se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso". A chiedere ai giudici di pronunciarsi in tal senso sono stati i magistrati di nove tribunali di sorveglianza della Penisola, che hanno messo in dubbio proprio la legittimità dell’efficacia retroattiva della norma. "In particolare è stata denunciata la mancanza di una disciplina transitoria che impedisca l'applicazione delle nuove norme ai condannati per un reato commesso prima dell'entrata in vigore della legge n. 3/2019", si legge in una nota diffusa dalla Corte Costituzionale.

Per la sentenza bisognerà attendere le prossime settimane, ma l’ufficio stampa della Consulta ha anticipato come i giudici abbiano “preso atto che, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, le modifiche peggiorative della disciplina sulle misure alternative alla detenzione vengono applicate retroattivamente, e che questo principio è stato sinora seguito dalla giurisprudenza anche con riferimento alla legge n.3 del 2019", e sottolineato come "questa interpretazione sia costituzionalmente illegittima con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell'ordine di carcerazione successivo alla sentenza di condanna".

"L'applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato – notano i giudici della Corte - è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall'articolo 25, secondo comma, della Costituzione". Una posizione condivisa anche dall’avvocato dello Stato, Massimo Giannuzzi, che nella giornata di ieri, davanti ai giudici, aveva spiazzato tutti allineandosi alle posizioni dell’accusa e contestando la retroattività del provvedimento, relativamente alla concessione dei benefici penitenziari. "La legge non è incostituzionale – aveva affermato - ma è possibile intervenire da parte della Corte Costituzionale con una interpretativa di rigetto che dia una nuova lettura della sua applicabilità, formulando l'affermazione che tutte le norme che peggiorano lo stato di libertà del detenuto vadano lette in termini di non retroattività"

"La legge non è incostituzionale – aveva affermato - ma è possibile intervenire da parte della Corte Costituzionale con una interpretativa di rigetto che dia una nuova lettura della sua applicabilità, formulando l'affermazione che tutte le norme che peggiorano lo stato di libertà del detenuto vadano lette in termini di non retroattività". Questo perché, aveva chiarito,"lo Stato di Diritto deve essere riferimento di tutti, quale che sia la parte che si rappresenta". Per Vittorio Manes, uno degli avvocati difensori delle parti, il pronunciamento della Consulta sarebbe stato "cruciale" proprio "per la tenuta dello Stato di diritto di fronte all'arbitrio punitivo dello Stato".

"Non può realizzarsi un cambio di scenario improvviso, per chi aveva la ragionevole previsione di accedere alle misure penitenziali alternative alla reclusione in carcere, per cui va esteso il principio di irretroattività come garanzia del singolo, ponendo in gioco sia la funzione rieducativa che la proporzionalità della pena", aveva sottolineato ieri. "Lo Stato – aveva aggiunto - non può cambiare le carte in tavola a sorpresa, altrimenti il cittadino sarebbe un suddito assoggettato all'arbitrio dello Stato leviatano".

Tante le reazioni politiche. Di "bocciatura del giustizialismo manettaro del M5S" parla il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Maria Stella Gelmini. "La Consulta ha posto un primo argine alla deriva giacobina del ministro della Giustizia e dell'avvocato del popolo che siede a Palazzo Chigi", ha detto anche la presidente dei senatori azzurri, Anna Maria Bernini.

A chiedere le dimissioni di Bonafede, invece, è Giacomo Portas, leader dei Moderati e indipendente di Italia Viva.

Il commento è lapidario: "Non solo gli elettori bocciano lui e tutto il M5S, ma anche la Consulta gli dice che non conosce la Costituzione".

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