
Mediatore di armi, piazzista di vino. Alla fine il crepuscolo di Massimo D'Alema, quello che lo porta l'altro giorno a partecipare alla sfilata bellicista di Pechino, a suo agio tra i missili di Xi Jinping, sta tutta qui, nelle due passioni che - dismessi i panni del politico - lo aiutano a passare il tempo e ad arrotondare la pensione. Con fortune alterne, come alterni ed effimeri furono i suoi successi politici.
Il pallino degli affari e dell'economia, l'ex segretario della Fgci e poi del Pds, l'ha sempre avuto: ma nella solida convinzione che alla fine, a dettare le regole, dovesse essere la politica. E che la corte di banchieri, imprenditori, affaristi di cui si è sempre circondato non fosse che la lunga mano operativa del potere politico, nella pragmatica interpretazione dalemiana. Il top di questa aspirazione a tenere il banco degli affari si raggiunse ovviamente nei diciotto mesi della sua presidenza del Consiglio, quando - per usare la spietatezza di Guido Rossi - "a Palazzo Chigi c'è l'unica merchant bank dove non si parla inglese". Era l'epoca in cui D'Alema benediva i "capitani coraggiosi" guidati dal suo amico Matteo Colaninno che andavano alla conquista di Telecom. Anche quella volta non finì benissimo.
Quei mesi servirono a D'Alema per saldare i rapporti che gli sarebbero tornati utili una volta defenestrato dalla guida del governo e del partito, nella sua nuova vita a metà tra il padre nobile, l'intellettuale d'area e il brasseur d'affaires. Primo tra tutti Alessandro Profumo, il banchiere che anni dopo finirà sotto inchiesta insieme a lui, e un altro uomo di banca, Pier Carlo Padoan, che "Baffino" mette alla testa di Italiani Europei, la sua fondazione. A cosa serva esattamente Italiani Europei non si sa. Si sa che i soldi arrivano da direzioni diverse. Con qualche scivolone, come quando nel 2015 arrestano il sindaco di Ischia per tangenti sul metano, e si scopre che per oliare gli appalti una cooperativa, la Concordia, ha pensato bene di comprare 500 copie del fondamentale libro di D'Alema Non solo euro e soprattutto duemila bottiglie del vino prodotto in una tenuta ad Orticoli, in Umbria, che si chiama La Madeleine: e che appartiene proprio a lui, a D'Alema, che se l'è comprata con i soldi incassati quando fu costretto a furor di popolo a vendere l'amata barca Ikarus. Per la storia dei libri della Concordia il nome di D'Alema finisce prima negli atti giudiziari e poi sui giornali, lui si arrabbia di brutto, va per la prima e unica volta in vita sua all'attacco della magistratura come un garantista qualunque, "la barbarie delle intercettazioni", "il Csm deve controllare i giudici". Poi i pm non lo indagano e lui si calma.
Ma la passione per gli affari non si calma e quella per il vino neanche, incamera premi su premi, lui ne è fiero e il sospetto della piaggeria non lo sfiora neanche quando a Spoleto per "Vini nel mondo" incoronano ex aequo le sue bottiglie e quelle del vecchio sodale Alessandro Profumo; e anzi si prepara a rilanciare, affiancando nella tenuta umbra alla cantina anche un agriturismo a due stelle e acquistando due tenute confinanti, la Calispone e la Gabriellino. Tutto con i soldi provenienti dalla sua cassaforte, la DL&M, società di consulenze che nell'ultimo anno, come rivelato da Open, ha macinato utili per 1.587mila euro.
Ma di che consulenze si tratta? Qui entra in ballo il vero D'Alema, quello che mette a reddito i legami costruiti da premier e da ministro, gli stessi che lo porteranno, insieme al solito Profumo, a venire indagato per corruzione per una brutta storia di elicotteri proposti alla Colombia: storia che finisce archiviata perché la Colombia non risponde alle rogatorie, ma dove la Procura di Napoli vede con "estrema certezza l'esistenza di una trattativa sostenuta da accordi corruttivi". Storia che per uno che lo conosce bene, Andrea Romano, ex direttore di Italiani Europei, è la sintesi del nuovo D'Alema: quello che - dice Romano a Huffingtonpost - "disprezza la funzione che ha svolto".