Sprechi da bonificare Tutti i carrozzoni che fanno solo acqua

I 137 Consorzi di bonifica nel mirino per sperperi e inefficienze. Metà dei fondi va in stipendi e i bilanci sono in rosso

Sprechi da bonificare Tutti i carrozzoni che fanno solo acqua

Solo in Calabria ce ne sono undici, dal Consorzio Ionio Catanzarese al Consorzio Tirreno Reggino a quello dei Bacini Settentrionali. Sono tutti consorzi di bonifica, un pezzetto dei 137 sparsi per l'Italia, enti di diritto pubblico finanziati dagli enti locali, e poi direttamente dai cittadini attraverso delle gabelle ad hoc, per svolgere la nobile finalità per cui furono istituiti più di un secolo fa: curare fiumi, prevenire allagamenti, frane, esondazioni. Che tuttavia, malgrado i 137 consorzi che dovebbero evitarle, non sono affatto rare in Italia, basta che piova un po' più del solito e patatrac!, esonda qualche fiume. E sotto accusa finiscono i consorzi di bonifica, com'è successo dopo l'alluvione in Gargano a settembre (Confedilizia chiese una commissione d'inchiesta sui consorzi di bonifica, «un sistema dispersivo, incoerente, costoso»). Il problema è che questi consorzi hanno presidenti, direttori generali, impiegati, consulenti, insomma un bel po' di personale che assorbe circa la metà dei fondi che amministrano. Parecchi, qualcosa come 500 milioni di euro l'anno (scrive l'Espresso ), metà dei quali, appunto, finiscono in stipendi e costi di funzionamento. Per questo sono entrati nel mirino della spending review, a livello nazionale con il cosiddetto Sforbicia Italia, e in qualche caso anche locale. In Commissione Agricoltura, alla Camera, c'è una proposta di legge a firma Pd per l'abolizione dei consorzi di bonifica, che nelle regioni rosse come la Toscana sono spesso guidate da ex diessini o piddini, e di frequente ex politici.

E la gestione non è sempre cristallina, nè efficiente. «Consorzi di bonifica: buco da 100 milioni, dossier sugli sprechi» scrive il Giornale di Sicilia . Il dossier sugli undici consorzi di bonifica siciliani parla di super stipendi agli amministratori, promozioni che spalancano la carriera dirigenziale, appalti pagati molto più del dovuto e perdite ovunque. Solo in quello di Palermo il rosso oscilla fra i 15 e i 20 milioni di euro. In Toscana, invece, si è costituito un «Comitato No Consorzi di bonifica», per raccogliere tutti i - molti - ricorso contro l'odiata tassa richiesta ai proprietari di immobili «di qualsiasi natura beneficiati dall'attività di bonifica». Quando a febbraio, per la pioggia, sono crollati addirittura trenta metri delle mura medievali di Volterra, il Comitato è insorto: «È evidente l'inutilità e l'inefficienza dei consorzi di bonifica!» urlano gli anti-consorzi, che hanno scritto una lettera al premier Renzi per sollecitarne l'abolizione. Le associazioni che aggregano i consorzi di bonifica si difendono con i coltelli dagli attacchi, rimarcando ogni volta il loro ruolo «fondamentale» nella difesa del territorio. Ma il sistema fa - davvero - acqua. Quando non sono i costi, o le polemiche sull'inutilità, è la cronaca giudiziaria ad attirare l'attenzione sui consorzi di bonifica. Come quello di Sarno, in Campania. Dove la Guadia di finanza ha accertato un danno erariale (consulenze, costi maggiorati, sprechi vari) di oltre 9 milioni di euro determinato dalla mala gestione dell'ente e ora chiede il risarcimento a 24 persone ritenute responsabili del danno economico. Mentre i bilanci spesso restano nell'ombra, come spiega il procuratore della Corte dei conti toscana: «I consorzi di bonifica si sono rifiutati di documentare i conti.

Gli atti ci sono stati rimandati indietro e attualmente stiamo procedendo con istanze di resa di conto». E quando i bilanci sono aperti dentro ci si possono trovare anche brutte sorprese. Consorzi (o carrozzoni?) da bonificare.

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