
La speranza dei diplomatici europei per il prossimo vertice Trump-Putin è il vicepresidente J.D. Vance. Chi l'ha incontrato negli ultimi giorni durante il suo soggiorno britannico lo ha descritto al Wall Street Journal come "preparato in dettaglio sulla questione ucraina" e attento alle posizioni del vecchio continente. Fiducia in Vance a parte, mai un summit di questa importanza ha visto un fossato così ampio tra le due sponde dell'Atlantico e una così profonda diffidenza da parte europea.
Il riferimento di molti osservatori a una "nuova Jalta" non ha fatto altro che peggiorare le cose: l'incontro del 1945 tra i grandi della seconda guerra mondiale è visto in tutta l'Europa orientale come una specie di tradimento che ha condannato al comunismo metà continente. Anche perchè, come ha osservato lo storico Timothy Snyder, a Jalta si incontrarono i Paesi aggrediti, non chi, come Putin, la guerra l'ha iniziata.
Lo stile di Trump non facilita le cose: convinto delle proprie capacità negoziali, il tycoon difficilmente accetta la presenza di esperti al tavolo. Ed esperto non può essere considerato Steve Witkoff inviato della Casa Bianca che per i territori occupati avrebbe discusso con i russi, secondo il "Times", un modello analogo a quello dell'occupazione da parte di Israele della Cisgiordania, in atto da quasi 60 anni senza riconoscimento internazionale. Sarebbe questa la strada che consentirebbe agli ucraini di cedere senza violare la propria Costituzione. Quanto all'incontro i precedenti faccia a faccia dei due capi delle grandi potenze nucleari raccontano di svolgimenti poco protocollari, che hanno alimentato voci e polemiche.
In uno dei primi incontri, a margine del vertice del G20 ad Amburgo, Trump e Putin si parlarono alla presenza dei soli interpreti. Poi Trump pretese la consegna dei verbali del traduttore americano, imponendogli di non fare parola dei temi affrontati. Alla cena di gala dello stesso summit, i due si appartarono e in quel caso a tradurre fu l'interprete russo, il solo presente.
Nel 2018 l'incontro di Helsinki, anch'esso a delegazioni ridotte, fu seguito da una complicata conferenza stampa in cui l'americano finì per dare ragione al presidente russo, smentendo pubblicamente le forze di sicurezza Usa e le loro indagini, sui tentativi di interferenza russa nella politica americana (più tardi con una nota ritornò sulle proprie posizioni).
Nello stesso anno ci fu un altro incontro informale, questa a volta
a margine del summit G20 di Buenos Aires in cui il copione fu lo stesso: Trump non si servì dell'interprete Usa e fece in modo che del colloquio non rimanessero note scritte, come è d'uso nella diplomazia internazionale.