«Nuova Sinistra», o anche «Sinistra Possibile», ad echeggiare l'iberico Podemos che tanto entusiasma i radical italiani e che li fa sognare con sondaggi oltre il 25% (in Spagna, però).
Il marchio «Sinistra possibile» lo ha già registrato, per ora come dominio web, lo scissionista permanente del Pd Pippo Civati. L'altro nome circola nei conversari di chi nel partito a trazione renziana sta sempre più scomodo. La scissione, per ora, è solo un'idea. Ma è un'idea su cui si ragiona con serietà, anche in casa renziana: alla vigilia dell'Assemblea nazionale di domenica scorsa, dopo l'insurrezione parlamentare della minoranza Pd che aveva mandato in minoranza il governo sulla riforma del Senato, il fantasma aveva preso corpo, e in molti avevano sconsigliato al premier di andare allo scontro nella convinzione che un pezzo di partito non aspettasse altro che quell'alibi per rompere, bloccare l'Italicum in Senato e garantirsi un futuro e un peso contrattuale grazie al proporzionale del Consultellum, che costringerebbe il Pd a venire a patti con gli altri partiti e partitini per riuscire a formare una maggioranza.
La vera prova del fuoco, questa è la convinzione crescente nel Pd renziano, sarà l'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Lì si scaricheranno, nel segreto dell'urna, tutte le tensioni laceranti che covano dentro il Pd (e specularmente dentro Fi) e che per ora si sono sfogate solo in qualche azione dimostrativa. Paradossalmente, una vittoria di Renzi, ossia l'elezione di un nome scelto da lui e condiviso con Berlusconi e con gli alfaniani di complemento ma poco gradito a sinistra (soprattutto in termini di garanzia sullo scioglimento delle Camere) potrebbe diventare la miccia che fa detonare le polveri. «Sarebbe il primo risultato concreto del Patto del Nazareno, l'alibi ideale per convogliare il malessere, scatenare gli umori anti-berlusconiani della sinistra e iniziare le danze della scissione», osserva un dirigente renziano.
Del resto, fa notare un esponente Pd, c'è «un problema concreto di ceto politico: una fetta sostanziosa degli attuali parlamentari Pd, scelti dalla Ditta, sanno che quando Renzi farà le liste farà anche piazza pulita». Non tanto dei nomi di primo piano: a Gianni Cuperlo o Stefano Fassina o persino Pippo Civati (che infatti pur annunciando la scissione a giorni alterni sta sempre lì) difficilmente il premier negherà un buon posto in lista: «In fondo avere uno come Pippo a fare la fronda è quasi un benefit, per Renzi». Ma la massa di manovra della Ditta sa di rischiare grosso, in Parlamento ma anche sul territorio, e sogna di potersi ricollocare attraverso la nascita di una nuova sinistra depurata dal renzismo. E quella soglia del 3% fissata nell'Italicum da Renzi potrebbe tornare utile alla bisogna.
Nonostante i passi avanti nell'accordo sulle riforme, dalle parti del governo si respira preoccupazione, e chi monitora ora per ora i numeri a disposizione in Parlamento sulla successione a Napolitano si mostra tutt'altro che sereno. Quanti voti veri controlla Berlusconi in Fi, Alfano tra i centristi e anche Renzi nel Pd? Nessuno al momento sa dirlo con certezza. E nella giornata di ieri gli inciampi, gli agguati e le tensioni che, soprattutto in casa Pd, si sono scatenati sulla legge di Stabilità al Senato, fino a rallentarne il percorso, sono stati letti come avvisaglie di un malessere che rischia di tracimare nel voto per il Colle.
Tanto che persino lo spauracchio delle elezioni a maggio, nell'election day fissato per Regionali e Comunali, ha rifatto capolino negli sfoghi esasperati degli uomini vicini al premier: «Con un parlamento così ingovernabile non si può andare avanti ancora molto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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