I n piazza gli statali, minacciano uno sciopero generale perché il governo Renzi ha confermato il blocco degli stipendi. Fuori dai riflettori, la moltitudine degli invisibili, i precari veri, cioè le partite Iva, sono alle prese con condizioni che assomigliano ormai a un'emergenza sociale. La categoria di famiglie più a rischio povertà è quella dei lavoratori autonomi. Nel 2013 secondo i dati elaborati dalla Cgia di Mestre - una su quattro, il 24,9 per cento, ha vissuto con un reddito disponibile inferiore a 9.456 euro annui. Cifra che rappresenta la soglia di povertà secondo l'Istat.
Meglio persino delle famiglie che tirano avanti con un reddito da pensione, visto che «solo» il 20,9 dei nuclei che vivono con un assegno previdenziale è sulla soglia della povertà. Non c'è partita quando il paragone è con i lavoratori dipendenti, dove sotto il limite c'è il 14,4 per cento delle famiglie.
Statali, non pervenuti, anzi assenti se si considera che la retribuzione lorda medie pro capite (fonte Aran questa volta) dei dipendenti pubblici nel 2013 era di 34mila e 400 euro. Lo stipendio pubblico, anche se bloccato da sei anni, rappresenta una meta ambita per tutti, visto che la retribuzione media dei dipendenti di datori privati si ferma a 27mila e 700 euro. Vero che queste ultime sono aumentate, anche se a passo lentissimo, circa un punto percentuale e mezzo all'anno, mentre quelle degli statali sono calate al ritmo di mezzo punto all'anno, tra contratti e «premi» bloccati. Ma il confronto tra i due mondi, ancora non regge. Le famiglie con fonte principale da lavoro autonomo hanno subito in pochi anni una «sforbiciata» di oltre 2.800 euro (-6,9 per cento).
Nel pubblico non ci sono licenziamenti, né cassa integrazione. E quando si parla di «esuberi» significa che a qualcuno viene chiesto di spostarsi di qualche chilometro. È, ad esempio, quello che succederà ai 20mila ex dipendenti delle Province che dovranno essere ricollocati nei Comuni o negli uffici delle Regioni. Trattamento di favore rispetto agli altri lavoratori, anche se molti dipendenti pubblici hanno retribuzioni molto inferiori alla media europea, ad esempio gli insegnanti.
Per le partite Iva è tutta un'altra storia. «A differenza dei lavoratori dipendenti fa notare il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi quando un autonomo chiude definitivamente bottega non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito». Peggio dei collaboratori a progetto, che possono usufruire di un indennizzo una tantum. «Le partite Iva non usufruiscono dell'indennità di disoccupazione e di alcuna forma di cassaintegrazione in deroga, ordinaria o straordinaria».
Se perdono commesse o clienti, chiudono. Ed è quello che è successo in questi anni di crisi. Dal 2008 al primo semestre di quest'anno i piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e liberi professionisti che hanno cessato l'attività sono stati 348.400, il 6,3 per cento. La platea dei lavoratori dipendenti, invece, si è ridotta di 662.600 unità, ma in termini percentuali è diminuita solo del 3,8.
Un meridionale su dieci tra quelli che avevano tentato la carta della partita Iva, è stato costretto a chiuderla. Nel Nord Ovest le chiusure si attestano al 7,8%, 4,3% nel Nord Est e 1,3% nel Centro Italia. In altre parole, il lavoro autonomo non è più l'alternativa rischiosa ma piena di opportunità di qualche anno fa. Meglio, per chi ci riesce, fare lo statale a tempo indeterminato, anche se con lo stipendio bloccato.
La manifestazione di ieri è servita ai sindacati del pubblico impiego a chiedere la fine dello stop agli stipendi, che è stato confermato dal governo Renzi per il sesto anno consecutivo. «Se non ci saranno risposte andremo avanti con lo sciopero della categoria. Chiameremo tutti i lavoratori», ha minacciato il segretario generale della Cgil Susanna Camusso.
Tra le stranezze della giornata di ieri, la mezza adesione di Camusso al referendum della Lega Nord di Matteo Salvini contro la riforma Fornero sulle pensioni.
Se la Corte Costituzionale lo ammettesse la Cgil lo appoggerebbe perché «determinerebbe per il governo il tempo entro il quale abolire una legge ingiusta». Su una posizione diversa il segretario generale della Cisl Annamaria Furlan, che vuole cambiare la riforma previdenziale del governo Monti, ma senza ricorso alle urne.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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