Stefano, filosofo scontroso che amava scrivere poesie

«Un leader nato», con grande carisma, che affascinava insegnanti e amici. Ma anche un uomo che nonostante la laurea in Filosofia e la spiccata intelligenza non ha un lavoro e non ha messo su famiglia. La personalità di Stefano Binda, accusato dell'omicidio di Lidia Macchi, è quella di un quasi 50enne che negli ultimi 29 anni ha condotto una vita ordinaria e nell'ombra. E che avrebbe nascosto la colpa di un omicidio brutale. Sparito la notte del delitto, come nel successivo trentennio. Inevitabilmente un profilo enigmatico, «narcisista, diviso tra regole e pulsioni». Per scandagliarlo, la Procura ha incaricato uno psicoterapeuta e un criminologo. A 19 anni Binda era brillante, colto. «Un intellettualone che scriveva poesie», lo definiscono gli amici di allora. È interessato alle discussioni filosofiche e religiose, però è pure «diverso, scontroso». Saranno due poesie e una bugia a tradirlo. La sua opera preferita, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi di Cesare Pavese, quella che declama a tutte le sue amiche, verrà trovata nella borsetta di Lidia dopo l'omicidio. Mentre lui dichiarerà - ecco la bugia - che la conosceva appena e non la vedeva da tre anni. La poesia inviata alla famiglia il giorno del funerale, In morte di un'amica, per gli inquirenti è invece un'involontaria confessione. Parla di «strazio di carni», «uomo della croce», «notte di gelo». Scrive il gip che «sembra descrivere minuziosamente il rapporto sessuale e il conseguente sacrificio ineluttabile» dell'«agnello senza macchia» che era Lidia prima di quella notte terribile. La giovane era vergine e solo un amico intimo poteva saperlo. Allo stesso modo il 10 gennaio 1987 nessuno al di fuori della famiglia sapeva dello stupro. Lidia è stata punita, «vittima sacrificale per la sua impurezza dopo la perdita della verginità». Il delitto, sempre secondo gli esperti, è «passionale, non voluto ma compiuto come conseguenza di un conflitto in atto in una personalità probabilmente paranoide». L'assassino fa scontare alla ragazza la propria debolezza davanti all'istinto, il proprio «tradimento di un ossessivo e delirante credo religioso». Per il giudice, Binda avrebbe agito con crudeltà e «contro ogni sentimento di umana pietà».L'indagato ha un solo piccolo precedente penale, per guida sotto l'effetto di droga nel 2009. È stato dipendente da eroina negli anni Novanta ed è stato in comunità, con diverse ricadute. Già nel 1987 aveva provato l'eroina, Lidia forse lo sapeva e voleva aiutarlo. In quel periodo infatti aveva comprato alcuni libri per documentarsi sulla tossicodipendenza. Per il giudice, oggi Binda è ancora pericoloso.

Non ha una famiglia sua, «non è riuscito a trovare una propria dimensione sociale e di impegno attivo». È lucido però. Sapendo di essere indagato, ha contattato i vecchi amici per provare a capire che piega prendevano gli interrogatori. «È calcolatore - conclude il gip - sa attendere con gelida pazienza».CBas

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