Stop alla jihad in Libia. Roma pronta a partire: "Ma se Tripoli dice sì"

Gli alleati pronti per le operazioni Roma però evita "fughe in avanti" e aspetta il neo-governo: "Che errore mandare spedizioni senza richieste"

Stop alla jihad in Libia. Roma pronta a partire: "Ma se Tripoli dice sì"

Roma - Lunedì potrebbe essere la data chiave per la Libia. Perché lunedì è atteso il voto di fiducia del parlamento di Tobruk al governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj e solo allora l'appello alla comunità internazionale potrebbe spingere l'Italia a «fare la sua parte», come dice il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.Usa, Gran Bretagna e Francia sono già sul campo con forze militari e intelligence, ma Roma insiste sul suo ruolo di coordinamento e non vuole decidere un intervento unilaterale, una «fuga in avanti». «Prima di parlare di quanti uomini inviare in Libia bisogna avere un nuovo governo», sottolinea il capo della Farnesina, che partecipa a Cipro al vertice dei 7 ministri degli Esteri dei Paesi europei del Mediterraneo. Tutto deve avvenire secondo la risoluzione dell'Onu e Gentiloni avverte che «l'idea di stabilizzare la Libia mandando un corpo di spedizione a prescindere o in assenza di una richiesta libica, significherebbe ripetere il peggio degli errori del passato».Giovedì il Consiglio Supremo di Difesa, confermando la linea del governo, ha legato la partecipazione italiana soprattutto alla protezione dei nostri impianti energetici, ma paradossalmente ieri l'ad di Eni ha dichiarato che «in Libia la situazione è migliore rispetto a quella di un anno», l'attività del gruppo procede normalmente e l'esercito libico «protegge le nostre installazioni».È vero, Claudio Descalzi parla a borsa aperta a beneficio degli investitor. «I nostri impianti non sono stati toccati, i colleghi continuano a lavorare e le nostre attività procedono - rassicura -. Abbiamo un importante piano di emergenza per mettere tutti i dipendenti in sicurezza in caso di necessità». Sul piano politico, l'ad parla di «progressi» e definisce «molto positivi e pragmatici» i colloqui in corso tra le parti.Ma l'avanzata jihadista in Libia fa crescere le preoccupazioni per la nascita del nuovo governo, che avrebbe il sostegno di 101 parlamentari. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti spiega che si è discusso di come proteggerlo, nella riunione di giovedì tra stati maggiori di Usa, Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna. «È il formato più piccolo - dice -, poi c'è quello allargato a diciannove. Abbiamo visto una grande disponibilità di tutti i Paesi a dare contributi. Potrebbero essere necessari addestratori o forze per mettere in sicurezza l'insediamento del governo a Tripoli». Anche per Gentiloni la maggioranza potrà esprimersi a Tobruk solo se cesseranno gli «atteggiamenti, addirittura minacce fisiche, che ci sono stati negli ultimi incontri». Per l'inviato dell'Onu per la Libia Martin Kobler la lista dei ministri del premier Fayez al Sarraj «non è esemplare ma la migliore possibile». E aggiunge: «Non possiamo aspettare molto, tutte le parti devono ritornare a unire il Paese». Malgrado le cautele del governo, l'intervento in Libia appare imminente e l'Italia prepara uomini e mezzi aerei e navali. Sono i paracadutisti del reggimento Col Moschin, di Livorno; i marò del San Marco; le navi che già pattugliano le coste per controllare i flussi migratori; i caccia che hanno già operato nell'operazione del 2011 e i droni da ricognizione e d'attacco.

La base siciliana di Sigonella viene utilizzata come punto di partenza degli aerei senza pilota, ma la richiesta di Roma è che vengano utilizzati solo per ricognizioni, non per lancio di missili. Quanto all'intelligence, gli 007 francesi e inglesi sarebbero già in Libia e, malgrado le smentite italiane, anche i nostri servizi lavorerebbero in diverse aree per preparare il terreno.

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