Guerra in Ucraina

Ma la strada per Bruxelles resta lunga

Alcuni dei 27 contrari alla scorciatoia, Parigi e Berlino indecise

Ma la strada per Bruxelles resta lunga

Sono settimane importanti per l'ingresso dell'Ucraina nell'Unione Europea. Domani i commissari europei si riuniranno per studiare il dossier in vista dell'appuntamento di venerdì, quando la commissione europea si pronuncerà sul via libera alla concessione dello status di candidato di Kiev, passaggio questo che appare quasi scontato. A dare il senso dell'importanza dell'appuntamento il fatto che il vertice si stato fissato nel giorno della settimana in cui solitamente Palazzo Berleymont si svuota degli euroburocrati ansiosi di godersi il week-end. Se queste tappe saranno rispettate e se a Kiev sarà concessa la nomination, la decisione finale spetterà al consiglio europeo, che potrebbe decidere entro fine mese.

Quindi tutto a posto? I ventisette stanno per diventare ventotto, con buona pace di chi è in lista d'attesa da anni come la Turchia (addirittura dal 1995 ma qui la patata è bollentissima a causa della erdoganizzazione della mezzaluna), Macedonia del Nord (2005), Montenegro (2010), Serbia (2012), Albania (2014), Georgia e Moldavia (dal marzo di quest'anno)? In realtà la strada è ancora lunga e l'Ucraina, che diventerebbe la quinta nazione più «pesante» dell'Unione (dopo Germania, Francia, Italia e, per un soffio, Spagna) non è affatto all'uscio di Bruxelles.

Le incognite sono numerose. La prima e più importante è l'opposizione di alcuni dei Ventisette alla candidatura di guerra, ciò che indispone la commissaria Ursula von der Leyen, che vorrebbe consacrare l'evento con un'unanimità che non esiste. Molti Paesi, come Danimarca, Paesi Bassi, Svezia e Portogallo, tutti «pesi medi» dell'Unione, pongono questioni sia di metodo (nemmeno una guerra è una buona ragione per derogare alle regole rigide dell'Union. E come visto ci sono Paesi che attendono da oltre un decennio, senza pensare ad Ankara) sia di merito, visto che l'Ucraina è comunque considerato da molte segreterie europee un Paese che soffre di derive fascistoidi e le cui fondamenta democratiche sono ancora incerte.

L'incognita più grande riguarda però l'incertezza dei «pesi massimi» Germania e Francia, che ancora non hanno sciolto le loro riserve circa la corsia europreferenziale per il Paese di Volodymyr Zelensky. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz (nella foto) ha la lancetta del barometro che si colloca tra il no e il forse, mentre Emmanuel Macron da Parigi ha più volte mostrato scetticismo, proponendo una sorta di «circolo di serie B», una comunità politica che affiancherebbe l'Unione Europea senza essere un biglietto di accesso e nel quale finirebbero tutti i Paesi dell'Est Europa ancora in candidatura. La Francia appare prudente anche perché ancora fino a fine mese detiene la presidenza del semestre europeo, ciò che porta l'Esagono a evitare prese di posizione nette. Detto che anche l'Austria è al momento per il no, al club del sì all'Euroucraina , più o meno senza esitazioni, appartengono l'Italia, la Spagna, la Grecia, l'Irlanda e il blocco dei Paesi ex comunisti, guidati dalla Polonia e comprendente anche Lettonia, Lituania, Estonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Croazia, Romania e Bulgaria.

Insomma, la partita è tutta da giocare. A forzare le tappe si rischia di spaccare l'Europa, sempre fragile. Anche perché la pagella dei requisiti su cui la cmmissione dovrà pronunciarsi ha molte sufficienze ma anche qualche insufficienza.

Se l'Ucraina può vantare un buon funzionamento dell'amministrazione centrale, che paradossalmente la guerra ha finito per confermare, e un ottimo grado di digitalizzazione, altre voci come i diritti civili e la situazione economica sollevano più di una perplessità.

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