«Non è terrorismo», dicono gli investigatori. Nessuna motivazione razziale o religiosa. È con molta probabilità nei dissidi familiari che affonda il movente della strage nella chiesa battista di Sutherland Springs, minuscolo villaggio di circa 600 anime, in Texas. Il profilo del killer Devin Patrick Kelley, che ha massacrato 26 persone e ne ha ferite 20 (di cui 10 ancora gravi) prima di togliersi la vita (ma non è certo che si sia ucciso), restituisce l'immagine di un «emarginato» - così riferiscono alcuni ex conoscenti - che sproloquiava in rete, vantandosene, sulla sua vita «senza Dio» e che litigava spesso con i suoi «amici» virtuali. Ma che in realtà, nel suo passato, ha dato lezioni sulla Bibbia e la cui moglie Danielle Shields ha insegnato proprio nella chiesa in cui lui ha aperto il fuoco durante la funzione religiosa. Tra le vittime avrebbero potuto esserci anche i suoceri del killer. Che per caso erano assenti ma fanno parte della parrocchia e si sono subito presentati agli investigatori, riferendo di un recente litigio avuto con il genero, che li aveva anche appena minacciati via sms.
«Diceva sempre che le persone che credono in Dio sono stupide - ha riferito una ex compagna di scuola - Per questo l'avevo cancellato da Facebook, non sopportavo i suoi post». E ancora lo zio di lui, sempre su Fb: «È un ateo, un non credente. Ha avuto diversi problemi con la nuova moglie che frequenta la chiesa». Ed è proprio dietro qualche dissidio di coppia che sembrano risiedere le motivazioni omicide dell'ultimo stragista fuori controllo: Devin Patrick Kelley, 26 anni, ex militare di base in New Mexico. Cacciato «con disonore» dalla Air Force, nel 2012, su pronunciamento della Corte Marziale, era stato congedato proprio dopo aver aggredito l'ex moglie e il figlio.
Sposato due volte, padre di almeno due bambini, il killer sembra non avere scelto a caso la chiesa del villaggio texano. Eppure il suo appare più il profilo di uno «spostato» - così lo ha definito Donald Trump - collegabile «ai numerosi problemi mentali» nel Paese piuttosto che a una strategia specifica. E il suo gesto sanguinoso riapre l'eterno dibattito sulle armi negli Stati Uniti. Con la sua dichiarazione, il presidente Trump strizza l'occhio alla lobby delle armi e vuole escludere che la strage sia legata alla proliferazione di pistole e fucili. Eppure uno dei temi dibattuti in queste ore è come un ex militare congedato abbia potuto acquistare il fucile con il quale ha abbattuto i fedeli come birilli mentre in Rete mostrava fiero la sua foto con un mitra Ar-15. Non a caso l'ex presidente Obama, per fare da contraltare al suo successore, ha insistito sul tema opposto: «Dio possa ispirare a tutti noi la saggezza per chiedere quali passi possiamo fare per ridurre la violenza e le armi». Al contrario, poche ore prima il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, sosteneva la necessità di avere più armi nelle chiese, di «armare almeno alcuni parrocchiani». «L'unica cosa che ferma un uomo cattivo con una pistola è un uomo buono con una pistola», ha detto, riprendendo uno degli argomenti preferiti della lobby delle armi, la National Rifle Association.
Intanto gli Stati Uniti si commuovono per le vittime della più grave sparatoria di massa nella storia del Texas, la peggiore in una chiesa statunitense. Tra loro la metà sono bambini, ma c'è anche una donna incinta, otto componenti di una stessa famiglia, e anche la figlia del pastore.
Annabelle Pomeroy, 14 anni, è deceduta mentre il padre, Frank Pomeroy, e la madre erano via «ironia della sorte, in due diversi Stati», come ha raccontato affranta la madre. La strage ha colpito i fedeli dai 5 ai 72 anni. La vittima più giovane finora identificata è Emil Ward, 7 anni, morta nonostante il disperato tentativo di salvarla in ospedale.
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