Carenza di personale e di dispositivi di protezione. In molti casi impossibilità di isolare adeguatamente i contagiati. Sono stati pubblicati i risultati dell'indagine condotta dall'Istituto superiore di Sanità sulle Rsa, le residenze per anziani, nel periodo che va dal 1° febbraio al 30 aprile 2020. Emerge che soltanto per il 7,4 dei decessi si può affermare con certezza che la causa della morte sia stato il coronavirus. Nel 33,8 per cento dei casi dei non tamponati erano però presenti sintomi simil-influenzali.
In tutto le vittime registrate nelle Rsa sono 9.154. Tra queste 680 erano risultate positive al tampone e 3.092 avevano presentato sintomi simil-influenzali. A queste però non è stato fatto il tampone. Il picco dei decessi è stato riscontrato nel periodo 16-31 marzo.
In Lombardia il numero di decessi più alto: 3.793, seguita dal Piemonte, 1.658 e dal Veneto, 1.136. Si tratta delle Regioni con una maggiore diffusione del virus ma non è questa l'unica spiegazione. In Lombardia i residenti in Rsa al 1° febbraio 2020 erano 26.981 contro il 16.629 del Piemonte e i 17.381 del Veneto. In altre Regioni gli anziani assistiti in Rsa erano decisamente meno. Insomma una maggiore capacità di accoglienza in strutture assistite si è purtroppo trasformata in un luogo ideale per la trasmissione del virus.
Certo sono state rilevate anche molte carenze ma i risultati di questa indagine restano parziali perché delle strutture interpellate dall'Iss ha risposto soltanto il 41,3 per cento, ovvero 1.356 Rsa. Insomma meno della metà.
Tra le carenze denunciate la mancanza di indicazioni sulle procedure da seguire. Una carenza denunciata dal 7,1 del totale mentre il 92,9 ha dichiarato di aver avuto un piano scritto per la gestione dei pazienti Covid. Denunciata pure la carenza di personale. In media nelle Rsa interpellate erano presenti 2,5 medici, 8,5 infermieri e 31,7 operatori socio-sanitari per struttura. Circa l'11per cento delle strutture ha dichiarato di non avere medici in attività fra le figure professionali coinvolte nell'assistenza. In media nelle strutture erano presenti 42,4 operatori.
Poi la questione più grave ripetutamente denunciata durante la pandemia: l'impossibilità di proteggersi con le mascherine che non erano disponibili. Delle 1.259 strutture che hanno risposto alla domanda, 972, ovvero il 77,2 per cento, hanno confermato la mancanza di dispositivi di protezione individuale, mentre 263, il 20,9, hanno denunciato anche la scarsità delle informazioni ricevute circa le procedure da svolgere per contenere l'infezione.
In molte strutture sono venuti a mancare anche i farmaci, in 123, ovvero il 9,8 per cento.
In 425 denunciata l'assenza di personale sanitario e in 157 la difficoltà nel trasferire i residenti contagiati in strutture ospedaliere. In 330 strutture si sono registrate difficoltà nell'isolamento dei residenti e in 282 non è stato possibile eseguire tamponi.
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