Si preparano a governare, ma non rinunciano a querelarsi. Nemici fino a ieri, amici da domani, in attesa di ritrovarsi a Palazzo Chigi, Pd e M5s si danno appuntamento in tribunale. Va bene che Giuseppe Conte è rimasto ancora l'avvocato degli italiani, ma chi sarà il giudice che metterà pace fra i nuovi partner di governo? Si sarà ribaltato il sentimento del Pd nei confronti del M5s, ma non per questo si sono estinti querele e processi.
La più tenace rimane Maria Elena Boschi che le ragioni le ha tutte, ma che nello stesso tempo assicura non farà mancare la fiducia al nuovo esecutivo. Tra i bersagli preferiti da Alessandro Di Battista (alcune carinerie? «La Boschi ha la faccia come il c»), ieri in un'intervista al Messaggero, ha fatto sapere, sia chiaro «senza alcun risentimento personale», che non rinuncia a nessuna causa perché sui «risarcimenti io non torno indietro».
Detto in maniera brusca: dal M5s non vuole incarichi, ma chiede soldi. Del resto, solo poche settimane prima che il governo gialloverde cadesse, era lo stesso Nicola Zingaretti ad annunciare che il suo partito non indietreggiava di fronte alle accuse infamanti rivolte da Luigi Di Maio che come Matteo Salvini (non era affinità?) ha definito il Pd «il partito di Bibbiano». In quell'occasione il segretario del Pd firmò ben ventitré querele e la prima era contro il sito del M5s perché «adesso basta. Gli attacchi al partito sul web stanno diventando diffamazione. Un team di avvocati è al lavoro per avviare azioni legali».
Da pochi giorni, sulle bacheche social, gira un video di un incontenibile Di Battista in compagnia di un cartonato in cui il Pd viene raffigurato come una piovra. L'audio è al di sopra della diffamazione: «Il Pd è la quinta organizzazione criminale d'Italia»; «Hanno trasformato il comune di Don Peppone in quello di Don Corleone»; «Io ve lo dico. Hanno imbarcato la feccia». In verità è il M5s che ha imbarcato il Pd. E che la difficoltà sia evidente si è compreso ascoltando le parole di Di Maio uscito dal Quirinale. Per giustificare l'alleanza ha tirato fuori nientemeno che la categoria del post ideologico («Noi siamo un movimento post ideologico»). Ma come si sa, post ideologiche non è la legge. E infatti, un'altra querela e sempre del Pd, pende proprio su di lui ed è freschissima (18 luglio) per «le dichiarazioni demenziali del vicepremier Di Maio il quale collega l'identità del Pd alle vicende drammatiche relative all'inchiesta su minori che coinvolge il comune di Bibbiano».
Spettacolari, nel senso che le firmò su un palco, sono invece quelle di Matteo Renzi. Una è per il senatore del M5s, Michele Giarrusso («Il quale ha detto che dovrei essere impiccato») in passato già querelato dal Pd. Per proteggersi, Giarrusso fece ricorso all'immunità salvo poi, dopo le proteste degli attivisti, fare marcia indietro. La ottenne invece Paola Taverna, anche lei querelata dal Pd per gli accostamenti a Mafia Capitale. Che fare dunque? Il responsabile dell'organizzazione del Pd, Stefano Vaccari ha promesso: «Prima di ritirarle, ci devono chiedere scusa. Sono i ragazzi dei 5 Stelle ad avere usato toni fuori misura».
Al momento, l'unico ad andare fuori, ma dal partito, è Carlo Calenda («Serve costruire un'alternativa ai 5Stelle e alla Lega, non con i 5Stelle. È il Pd che ha cambiato idea»).
Non sapeva che, presto, potrebbe cambiarla anche sulle querele, come fa sapere Marco Miccoli, capo della segreteria politica del Pd: «Ritirarle? Vediamo. Dobbiamo ragionare in generale. Adesso non è questa la priorità. Posso dire che il contrasto alle fake news continua. Quereleremo la Lega sulla vicenda di Bibbiano». Almeno nelle querele c'è davvero «discontinuità».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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