Per spezzare l'arrocco del Movimento 5 Stelle Matteo Salvini decide di giocare il tutto per tutto. E alle 6 della sera annuncia che «la Lega ha votato Anna Maria Bernini, ho comunicato la scelta al presidente Berlusconi». Il leader leghista ha preso alla lettera il ruolo di capodelegazione del centrodestra e si è così sostituito al presidente di Forza Italia nell'indicazione del nome. «L'unico modo per evitare l'abbraccio Pd-5Stelle per eleggere il presidente del Senato è scegliere un candidato del centrodestra che abbia il maggior gradimento possibile», ha spiegato aggiungendo che la sortita «rappresenta un coraggioso e generoso aiuto alla coalizione per evitare brutti scherzi ed uscire dallo stallo, e un segnale all'Italia perché il Parlamento cominci a lavorare il prima possibile». Non a caso in tarda serata ha specificato il significato dell'intemerata. «Vista la disponibilità dei 5 stelle a sostenere un candidato del centrodestra alla presidenza del Senato, noi ne appoggeremo uno dei 5 stelle alla presidenza camera. Aspettiamo di conoscere nomi», ha dichiarato.
La mossa non concordata, però, ha provocato l'ira del Cavaliere. Il centrodestra non è mai stato così vicino alla fine. Gli esponenti del Carroccio ieri a Palazzo Madama hanno sovente formato capannelli con i colleghi pentastellati e la sensazione generale che se n'è avuta è quella di una fuga in avanti della Lega per formare un governo a tutti i costi. In un incontro «fortuito» con il Cinque stelle Carlo Sibilia il Capitano (come ormai Salvini si fa chiamare) avrebbe rassicurato il collega con la frase «stiamo lavorando». La stessa benedizione del capogruppo grillino Danilo Toninelli rappresenta un ulteriore indizio considerato che i voti di M5s e Lega sono sufficienti a eleggere il presidente a maggioranza: sono esattamente 170 sui 320 senatori totali. Mettere Fi dinanzi al fatto compiuto è un duplice atto di lesa maestà: non solo per l'interferenza nelle logiche interne, ma anche perché l'ha costretta a «impallinare» un proprio esponente. Insomma, un'Opa ostile in piena regola.
Basta riavvolgere il nastro e andare alla parole di Salvini di ieri mattina per cercare di motivare questa mossa improvvida. «Ci saranno i presidenti per sabato pomeriggio, il mio auspicio è questo. Se tutti fanno quello che ha fatto la Lega, e cioè un passettino indietro, si chiude», aveva dichiarato sottolineando che «il M5s sbaglia a non voler parlare con Silvio Berlusconi, perché chiunque è stato votato dagli italiani è un interlocutore». In realtà, il Carroccio ha temuto che il muro contro muro su Paolo Romani potesse giovare al Pd giacché, secondo i rumor del Transatlantico, i pentastellati avrebbero potuto convergere su Luigi Zanda o su Emma Bonino puntando a un'eventuale spaccatura dei dem che avrebbe tagliato fuori tutto il centrodestra. Per Salvini questo era il vero rischio-spaccatura.
L'azzardo del segretario, però, potrebbe costare caro: sui 58 voti leghisti per Bernini uno è stato annullato. Pare sia quello del senatùr Umberto Bossi che ha scritto «Ernini» e poi è andato a Palazzo Grazioli dal Cavaliere. Sul profilo Twitter dell'ex governatore lombardo Bobo Maroni è invece apparso un articolo di Repubblica nel quale Bernini dichiarava: «Voto sì a unioni gay e adozioni». Anche se le truppe del Carroccio sono quasi interamente di fede salviniana, la rottura potrebbe comportare una mini-scissione anche nella Lega, soprattutto nella sua componente meno oltranzista.
Senza contare che se lo strappo non verrà ricucito, la tenuta delle giunte di Lombardia, Veneto e Liguria potrebbe risultarne compromessa. Senza contare che lo «strappo» non ha attirato verso il governismo di Salvini gli alleati di Fratelli d'Italia isolando, nello spazio d'una sera, la Lega.
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