Guerra in Israele

La via stretta tra i no di Sinwar e i dubbi di Bibi

Netanyahu al bivio tra Usa ed estrema destra. Il leader di Hamas pretende un salvacondotto

La via stretta tra i no di Sinwar e i dubbi di Bibi

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Rafah o Washington? Ora Benjamin Netanyahu è a un bivio. Deve decidere se accontentare la Casa Bianca archiviando i piani per la conquista dell'ultimo caposaldo di Hamas nella Striscia o mantenere la promessa - reiterata non più tardi di mercoledì - di «entrare a Rafah eliminare gli ultimi battaglioni di Hamas e ottenere una vittoria totale».

Entrambe le scelte minacciano di rivelarsi una spada di Damocle. Lanciando l'offensiva finale il premier finirebbe con il condannare a morte gli ultimi ostaggi. Perdendo non solo l'appoggio degli Stati Uniti, ma anche il consenso di buona parte della propria opinione pubblica e la disponibilità delle nazioni arabe moderate (Arabia Saudita in testa) a condividere un'intesa sul futuro della Striscia.

Per contro rinunciando alla conquista di Rafah e continuando la trattativa con l'Egitto sulla sorte degli ostaggi Bibi rischia non solo di ritrovarsi ostaggio di Hamas, ma anche di veder cadere il proprio governo. I falchi del suo esecutivo, ovvero il ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir e quello delle Finanze Bezalel Smotrich, hanno già annunciato il proprio addio in caso di rinuncia a Rafah. Un epilogo che equivarrebbe alla fine politica di Netanyahu e al suo probabile arresto per corruzione.

La difficile posizione del premier israeliano spiega, però, le ambiguità di Hamas. L'organizzazione da una parte sostiene di non voler accettare alcuna intesa che non preveda il definitivo ritiro delle truppe israeliane a Gaza. Dall'altra ha tutto l'interesse a evitare uno scontro finale al termine del quale si ritroverebbe fuori della Striscia. In questa complessa palude negoziale l'America di Joe Biden rischia di fare il gioco di Hamas. Come ha ripetuto il segretario di Stato Antony Blinken, la Casa Bianca vuole convincere Israele a rinunciare all'attacco finale a una città in cui vivono accampati oltre un milione di sfollati. L'operazione rischia, infatti, di estremizzare le posizioni della sinistra democratica statunitense privando Biden di voti cruciali e favorendo la vittoria di Donald Trump alle prossime presidenziali.

Ma non solo. Dimostrandosi incapace di tenere a freno Netanyahu la Casa Bianca si giocherebbe la possibilità di coinvolgere un'Arabia Saudita, già pericolosamente vicina a Mosca, nei piani per il ritorno della Striscia di Gaza sotto il controllo dell'Autorità Palestinese. Ma al di là di questi calcoli politici, il lato più drammatico della partita negoziale condotta dall'Egitto riguarda la sorte degli ultimi ostaggi. La trattativa coinvolge solo 33 dei 40/50 prigionieri ancora in vita. E questo è un ulteriore segnale della doppiezza di Hamas, pronta a giocarsi la sorte degli ostaggi più preziosi (probabilmente una manciata di ufficiali dell'esercito e funzionari dello Shin Bet, i servizi segreti interni) solo in cambio di un salvacondotto per l'uscita dalla Striscia di Yaya Sinwar, capo dell'organizzazione a Gaza, e di Mohammad Deif, imprendibile comandante della sua ala militare.

Ma è anche la prova di come qualsiasi soluzione negoziale della guerra apertasi con gli attacchi terroristici del 7 ottobre sia destinata a rivelarsi un'irraggiungibile utopia.

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