Mondo

La stretta su moschee e fondi da Ankara. Così l'Austria ha "sfidato" gli estremisti

Nel 2018 le inchieste sui centri di indottrinamento finanziati dalla Turchia. Nel 2015 due terroristi arrestati in un campo per migranti

La stretta su moschee e fondi da Ankara. Così l'Austria ha "sfidato" gli estremisti

Si chiama Islam separatista, ma non opera solo in Francia. E non tiene nel mirino soltanto il presidente Emmanuel Macron. È presente in tutta Europa. E lotta per sfaldarne confini e difese. Ma rappresenta anche la cartina di tornasole per comprendere finalità e retroscena della strage messa a segno da Kujtim Fazelai, il terrorista di etnia albanese e origini macedoni entrato in azione lunedì notte a Vienna. In questo contesto Vienna non è solo la capitale sulle cui mura s'infranse storicamente il tentativo di invasione musulmana dell'Europa. Vienna è anche il terminale di quella rotta balcanica diventata - assieme alla rotta mediterranea - il nuovo condotto dell'offensiva terrorista. Il primo atto della nuova strategia, adottata dopo la caduta di Raqqa e Mosul e la fine del Califfato, è stato l'attacco alla chiesa di Notre Dame di Nizza. Con quell'operazione i terroristi hanno dimostrato quanto sia facile far sbarcare un militante a Lampedusa, fargli attraversare l'Italia e colpire una Francia colpevole di aver messo alla sbarra gli stragisti di Charlie Hebdo trasformando le vignette anti-Maometto in una bandiera anti-islamista. L'attentato di Vienna rappresenta la seconda parte della nuova strategia. E indica non solo dove stringere l'altra ganascia del terrore, ma anche quali articolazioni impiegare. Se la Tunisia con il suo bacino di migliaia di simpatizzanti dell'Isis è il naturale serbatoio della rotta Mediterranea il Kosovo, l'Albania, la Macedonia e la Bosnia sono il naturale retrovia della «rotta balcanica». Forti di un bacino di circa 150 reduci dell'Isis rientrati dopo la caduta del Califfato e di consistenti arsenali eredità delle guerre della ex-Jugoslavia quei paesi sono pronti a trasformarsi in un corridoio del radicalismo armato. Un corridoio lungo cui sono probabilmente transitate armi, munizioni e direttive ricevute da Kujtim Fazelai nelle scorse settimane. Un corridoio già utilizzato per far viaggiare due terroristi arrivati dalla Turchia che avrebbero dovuto unirsi al commando entrato in azione a Parigi il 13 novembre 2015. I due rimasti bloccati in un campo per migranti austriaco vennero arrestati poche settimana dopo la strage del Bataclan. Ma il sipario viennese ha in comune con quello francese anche molte analogie relative al ruolo della Turchia di Erdogan.

Al pari dell'attentato di Nizza, messo a segno dopo le dure parole con cui il Sultano liquidò le tesi di Macron sull'Islam separatista, anche l'attacco di Vienna ha un retroscena ottomano. E non solo per la presenza in Austria di oltre 600mila musulmani d'origine turca. Nel 2018 un'inchiesta sulle moschee finanziate da Ankara mise fine all'indottrinamento forzato di decine di bambini musulmani educati ai precetti del fondamentalismo tra le mura dei luoghi di culto.

In seguito all'inchiesta il governo del cancelliere Sebastian Kurz ordinò la chiusura di sette moschee finanziate dal Direttorato degli affari religiosi di Ankara. E nell'ambito della stessa indagine vennero inquisiti ed espulsi una quarantina di imam considerati sul libro paga della Turchia. «In questo paese non c'è posto per società parallele, Islam politico e tendenze radicali» - spiego il Cancelliere Sebastian Kurtz in una conferenza stampa tenuta subito dopo quei provvedimenti. Parole molto simili a quelle con cui Macron ha annunciato la sua crociata contro l'Islam radicale. Parole che anche in quel caso finirono per sollevare la minacciosa reazione di Ankara. «La decisione di chiudere sette moschee ed espellere degli imam è un riflesso dell'ondata islamofobica, razzista e discriminatoria di questo paese» - avvertì allora un portavoce ufficiale di Erdogan.

Più o meno le stesse parole pronunciate dal presidente turco pochi giorni prima degli orrori di Nizza.

Commenti