Guerra in Ucraina

Stufo della guerra in stile TikTok l'ex portiere italiano si è arreso

Da combattente in Ucraina a "congedato" per amore

Stufo della guerra in stile TikTok l'ex portiere italiano si è arreso

Per un quarto d'ora di «celebrità», tutto fa brodo. Se poi il brodo viene versato in una gavetta militare, la cosa potrebbe diventare «eroica». Peccato che nella storia (o meglio, nelle ig stories) di Ivan Vavassori la presunta epica della guerra sia subito annegata tra i marosi della navigazione social. Partito in buonafede (almeno si spera) per «sostenere la causa ucraino», il 29enne figlio adottivo dell'imprenditore lombardo Pietro Vavassori e di Alessandra Sgarella - che alla fine degli anni 80 fu rapita dalla 'ndrangheta per 9 mesi e poi morì nel 2011 per una malattia - - nell'arco di un mese è passato dal ruolo di soldato anti-Putin, a quello di autocongedato per «ragioni personali». L'ex belligerante ieri si è limitato a instagrammare un video, spiegando in lingua spagnola (i foreign fighter sono notoriamente poliglotti...) che alla base della sua resa c'è una «scelta di vita»: più o meno la stessa motivazione (ma con una parabola inversa) che lo aveva spinto ad arruolarsi in una fantomatica «brigata internazionale, a fianco dell'esercito di Kiev». Tra domenica e lunedì l'ex portiere del Real (non il Real Madrid, bensì il più modesto Real Santa Cruz) deve aver avuto un profondo ripensamento, passando da un pugnace impegno in versione Tik Tok («Sono deciso ad andare fino in fondo!») a un più pacifico messaggio Instagram («Sono stufo, per me è abbastanza così»). Un cambio strategico da parte del combattente pentito, che aggiunge: «È ora di tornare a casa, non ho più la testa per andare avanti. Le cose sono cambiate da quando me ne sono andato, ma sono sicuro che con l'aiuto di Dio raggiungerò i miei obiettivi. E lei è al primo posto in questi». E quest' ultimo passaggio sembra riferirsi ad una donna. La sua fidanzata? Nel dubbio, i giornali di gossip si sono già messi sulle sue tracce: «sue» di Ivan e «sue» della donna misteriosa. Lei (una «bella boliviana», si spettegola tra le linee nemiche), capace di far mettere la testa a partito all'intrepido giovanotto che in «sanguinosi bombardamenti» si era guadagnato il soprannome di «Aquila Nera» («per l'abitudine - narra la leggenda - di mettere un nastro nero sul caricatore»). Almeno fin quando «non è stato ferito in un agguato a Mariupol». Roba da Medaglia al Valor Militare. Sempre che sia tutto vero. E non la proiezione di film, tipo Orizzonti di Gloria o Apocalypse Now. A conferma che Vavassori ha ormai appeso il fucile al chiodo, c'è l'ultimo frame della video-testimonianza che mostra l'interno di un aereo». A quest'ora «Aquila Nera» è forse già atterrato in Italia. Ma il padre frena gli entusiasmi: «Non è diretto qui». Peccato per i più disarmanti talk show, che già lo attendono in tv.

Con le mani alzate.

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