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Sud e scuola, Renzi è già in campagna elettorale

In vista del voto, il leader Pd impone che il governo si occupi di Mezzogiorno e dei giovani

Sud e scuola, Renzi è già in campagna elettorale

Roma - Edizione corretta e riveduta. Il governo Gentiloni nasce con l'ombra di Renzi che scrive il copione e sceglie gli attori. Cambiato l'ordine degli addendi, ma non il risultato. I pochi cambi di poltrone hanno molto a che vedere con Renzi che scalda i motori, dietro le quinte, per la sfida elettorale che verrà. Ha da recuperare consensi, manovrando le mosse della squadra Gentiloni, in fretta, provando a dimenticare un voto che è stato più un messaggio contro i suoi fallimenti che contro una riforma. Perché le promesse mancate si chiamano menzogne, a prescindere dagli altisonanti inglesismi come «Masterplan», l'ambizioso progetto di sviluppo per il Sud.

Matteo Renzi ha letto bene i flussi elettorali. Ha letto che le regioni in cui la gente ha votato in massa No, più che in tutto il resto d'Italia, sono state Sardegna (72,22), Sicilia (71,58), Campania (68,52), Calabria (67,02) e Puglia (67,16). Cioè quel Sud dove è andato più volte negli ultimi due mesi di campagna referendaria che nei due anni di governo, a inaugurare fiere, benedire fabbriche, promettere strade, treni. Persino il ponte sullo Stretto. Quindici Patti e 95 miliardi, dovevano arrivare, per il Sud. Ipse dixit. Ma dire non è bastato, perché c'è stato il referendum, ed è stata la gente a dire no. E così, Renzi-loni si inventa il ministero per il Sud e ci mette il fedelissimo Claudio De Vincenti. Poco importa che sia lui ad aver fatto saltare il tavolo del Contratto istituzionale di sviluppo per l'area di Taranto, in programma per il 12 dicembre, «a causa della crisi di governo». La partita del Sì e del No al referendum è diventata, presto, quella fra gli amici e i non amici, soprattutto nella Puglia di Emiliano, che di Renzi non è mai stato il primo fan. E infatti all'indomani del 4 dicembre non sono arrivati i 50 milioni, fra le altre cose, ai bambini figli dell'Ilva, che tra parentesi è l'altra grande incompiuta di questo governo. Non sono arrivati - e non arriveranno fino a dopo il 2020 - neppure 35 dei 46 miliardi che la legge di Bilancio avrebbe dovuto portare al Sud, perché il governo non ha avuto voce in capitolo per svincolarli dall'Ue.

A De Vincenti, spetterà il compito ingrato di sanare le ferite in quel Mezzogiorno di cui, Renzi, ha fatto moneta di scambio. Ma non sarà il solo, a mettere le toppe alle sconfitte elettorali del segretario Pd. In buona compagnia un'altra new entry, Valeria Fedeli, dalle fila della Cgil a quelle del Miur, per ricucire lo strappo che brucia con milioni di insegnanti in rivolta contro la riforma della «Buona Scuola». Un governo dello storytelling roseo, a cui però hanno detto no 4 milioni e mezzo di giovani e il 73%, dei disoccupati. Sarà per questo che potrebbe saltare la poltrona di Tommaso Nannicini, il bocconiano consigliere di Palazzo Chigi, coautore del flop delle riforme del lavoro col ministro Giuliano Poletti, che resta invece al suo posto.

Forse a scottare è quella patata bollente che ora passa a lui, lo spettro di un altro referendum: questa volta sul Jobs Act.

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