Sui due italiani rapiti l'ombra dell'Isis Silenzio dalla Farnesina

Potrebbe esserci il Califfato dietro il sequestro Gentiloni chiede tempo: «Stiamo lavorando»

Sui due italiani rapiti l'ombra dell'Isis Silenzio dalla Farnesina

Scavando nella vita di Danilo Calonego, il tecnico bellunese rapito in Libia assieme al connazionale Bruno Cacace, vengono alla luce riflessioni con quel sapore un po' amaro di «io l'avevo detto». Setacciando il suo profilo Facebook si trovano infatti post che descrivono gli scenari nei quali lui stesso, ironia della sorte, è rimasto intrappolato. Partendo dal caos libico, generato, come rammenta in un post, dalla morte di Gheddafi. Oppure ricordando il silenzio dell'occidente verso i crimini perpetrati dall'Isis in Nigeria nei confronti dei cristiani. «Tutto accade nell'indifferenza generale, mentre il governo vende fumo».

A tre giorni dal loro rapimento la Con.I.Cos. di Mondovì, l'azienda per cui lavoravano a Ghat, in Libia, rompe il silenzio rivelando che i due italiani «avevano portato con se' un solo autista armato che fortunatamente, vista la situazione sopravvenuta, non ha reagito onde evitare il peggio». Un passaggio importante che smentisce voci di una revoca della scorta per i dipendenti da parte dell'azienda. La regione del Fezzan dove si è consumato il crimine, «è sempre stata un'area sicura, senza fatti di rilievo. Abbiamo potuto continuare con l'operatività delle commesse in corso, pur adottando le cautele del caso, fino alla consegna finale dei lavori». Scorte armate, check-point di polizia in entrata e in uscita e personale operante all'aeroporto di Ghat non hanno però impedito il rapimento dei tre tecnici (con i due italiani c'è anche il canadese Frank Boccia), a dimostrazione che a quelle latitudini, a due passi dal confine con l'Algeria, agiscono sia predoni, così come purtroppo anche miliziani dell'Isis.

«Stiamo lavorando, sono le giornate più delicate. Dobbiamo permettere a chi sta operando di farlo nel massimo del riserbo e senza polemiche», riferisce da New York il ministro degli Esteri Gentiloni.

Parole che perdono d'energia se messe a confronto con la lettera pubblicata su Panorama da Rosalba Castro, vedova di Salvatore Failla, il tecnico italiano assassinato in Libia a marzo insieme al collega Fausto Piani. Nella missiva la donna denuncia Gentiloni di aver trattato il marito come «morto di serie B. Per mesi piangevo con la Farnesina implorando di tirarlo fuori, quando sapevo che Salvo era ancora vivo, ma l'hanno lasciato morire». Il settimanale rivela anche come dietro l'uccisione dei dipendenti della Bonatti, sequestrati assieme ad altri due connazionali (poi liberati) a luglio del 2015, ci fosse l'Isis. A orchestrare il rapimento, racconta Ahmed Ben Salem, portavoce delle forze speciali di Tripoli, «fu la cellula tunisina dell'Isis di Sabrata. Lo sappiamo con certezza perché abbiamo arrestato e interrogato le mogli dei terroristi responsabili del rapimento e i carcerieri sopravvissuti».

Con il trascorrere delle ore cresce il timore che dietro al rapimento di Cacace e Calonego ci siano appunto i jihadisti del drappo nero. L'area dove sono stati prelevati è poco distante dal confine con l'Algeria e il Niger: una zona dove il controllo del governo di Tripoli è limitato e dove sono attivi diversi gruppi armati. Al momento, almeno ufficialmente non ci sono state rivendicazioni o richieste di riscatto. Lo ha ribadito in serata anche Musa Al Kuni, vicepremier del governo di accordo nazionale.

In un messaggio diffuso su Twitter, al Kuni ha garantito la massima collaborazione con i governi di Italia e Canada, promettendo «di intensificare gli sforzi politici e di sicurezza in tutta l'area del Fezzan per trovare i rapiti».

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