Unite fino all'ultimo, anche nella morte: iniezione letate autosomministrata nello stesso momento, ceneri nella stessa urna. La fine (assistita) delle gemelle Kessler ha commosso il mondo: Hellen e Alice, Alice e Hellen, che si sono bastate l'una all'altra per tutta la vita. La loro scelta è stata narrata come qualcosa di poetico, di libero, come l'ultimo colpo di teatro delle sorelle più applaudite di sempre. Non la pensa allo stesso modo il presidente del Comitato nazionale per la bioetica, Angelo Luigi Vescovi.
Professor Vescovi, che idea ha su questa "uscita di scena" delle gemelle Kessler, così intima e forte?
"Mi spaventa che questa loro decisione venga rimarcata da tutti come un manifesto di libertà. Nella stanza in cui sono morte è successo tutto fuorché un atto di libertà. E non trovo giusto vengano raccontate come eroine che si sono liberate dai lacci della vita".
Lei come racconterebbe quello che è accaduto?
"Come la storia di un mancato intervento, come una scelta distorta. Non erano tetraplegiche, da quel che mi risulta non erano malate. Erano soltanto anziane. Sono addolorato dalla notizia della loro morte assistita perché non so se qualcuno abbia fatto qualcosa per aiutarle".
Cioè dice che c'è stata troppa leggerezza in questa decisione? In Germania il suicidio assistito è stato depenalizzato nel 2020 dalla Corte Costituzionale.
"Dov'è l'essere umano? Mi sembra piuttosto che al centro del ragionamento ci sia l'approccio ideologico. C'è una forte stortura. Le scelte libere non sono mai davvero libere. Ma c'è sempre un condizionamento. Anche in Australia uno scienziato di 104 anni ha deciso di sottoporsi al suicidio assistito e nessuno ha detto nulla. La notizia è stata del tutto normalizzata. Io credo che vivere sia un fenomeno attivo e non passivo in cui ci si debba misurare fino alla fine".
Perché parla di mancato intervento per le Kessler?
"Perché so che una delle due soffriva di depressione. Ma qualcuno avrebbe dovuto sostenerla, non lasciare che arrivasse a questa scelta. Mi spiace che le Kessler, abituate a una vita brillante, sul palcoscenico, non siano state in grado di accettare la vecchiaia e, evidentemente, l'isolamento sociale e il decadimento fisico. La loro mi sembra sia la storia di un vuoto esistenziale. Se davvero la loro decisione di morire è stata dettata da condizioni emotive e depressione, questo è molto preoccupante".
In che senso parla di condizionamenti e approccio ideologico sul fine vita?
"Chi conosce la neurofisiologia delle decisioni dice che il processo è condizionato da elementi esterni: in questo caso il far passare la morte assistita come un atto di libertà. È quello che avviene in vari paesi del Nord Europa e credo sia un approccio pericoloso".
Il Italia il dibattito ha un'altra metrica. E c'è un'attenta valutazione del dolore, caso per caso.
"In Italia non abbiamo una legge, ma abbiamo un parere, un indirizzo del Comitato nazionale di bioetica. Abbiamo un approccio diverso rispetto a quello di altri paesi. Ripeto: vivere è un fenomeno attivo". In Italia il suicidio assistito può essere richiesto solo a specifiche condizioni, anche in questo caso stabilito da una sentenza (quella del 2019 legata al caso di Dj Fabo e Marco Cappato, e alcune successive sullo stesso tema). È necessario che la persona malata sia capace di autodeterminarsi, abbia una patologia irreversibile che causa sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, e sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale.
C'è anche una proposta di legge nazionale in lavorazione in Parlamento, ma dopo mesi di rinvii e compromessi, il centrodestra ha raggiunto un testo che è stato duramente criticato dalle associazioni del settore. Secondo i critici la norma, per come è scritta, renderebbe l'accesso al suicidio assistito ancora più difficile.