Con 158 deputati e 73 senatori, il M5s è numericamente il primo gruppo parlamentare sia alla Camera che al Senato. Per un totale di 231 grandi elettori presidenziali su 1.009, cioè il 23% del totale. Eppure, a prescindere dalla vicenda giudiziaria che in queste ore ha investito il fondatore Beppe Grillo, il Movimento è destinato a non toccare palla quando la prossima settimana – esattamente lunedì alle 15 – si aprirà ufficialmente la corsa per il Colle con la prima votazione del Parlamento in seduta comune. A meno di clamorose, al momento non immaginabili sorprese, il M5s metterà a segno un vero e proprio record: per la prima volta nella storia repubblicana, infatti, il principale gruppo parlamentare non esprimerà il presidente della Repubblica (o comunque non sarà decisivo nella sua scelta). Persino la Dc ormai sulla via del tramonto con l’inizio della stagione di Mani pulite, nel 1992 riuscì – seppure con la concomitanza della tragica morte di Giovanni Falcone – a portare sul Colle Oscar Luigi Scalfaro.
I problemi di Grillo, dunque, posso soltanto amplificare divisioni che sono in realtà ormai fortemente cristallizzate. Oltre ad essere il fondatore, infatti, resta pur sempre il garante del Movimento. Ed è nelle cose che la vicenda giudiziaria – e il suo risalto sui media – abbia delle conseguenze. Allargando ulteriormente il solco che divide le due leadership politiche del M5s. La prima, quella di Giuseppe Conte, che si muove con lo sguardo rivolto verso sinistra, forte di un asse privilegiato con Goffredo Bettini e Massimo D’Alema. La seconda, quella di Luigi Di Maio, che rimane decisamente più vicino alle posizioni di centrodestra e che continua a coltivare un rapporto privilegiato con Giancarlo Giorgetti.
Ed è la forte conflittualità – politica e di obiettivi – tra Conte e Di Maio ad agitare i sonni dei 232 grandi elettori grillini. Tra il crollo dei consensi del M5s, il taglio dei parlamentari e la questione del limite del doppio mandato, infatti, ben più dei due terzi di loro è destinato a non tornare in Parlamento. Ragion per cui, il nome per il Colle a cui guardano con più scetticismo è quello di Mario Draghi. Che se fosse eletto presidente della Repubblica lascerebbe scoperta la casella di Palazzo Chigi. Con il rischio – a prescindere da qualunque accordo preventivo – che la situazione possa avvitarsi e si finisca per andare dritti alle elezioni anticipate. Non è un caso che il corpaccione del Movimento faccia il tifoso per il Mattarella bis, soluzione che congelerebbe lo status quo, legislatura – ed emolumenti – compresa.
In chiave elezioni anticipate, infatti, deputati e senatori grillini non si fidano proprio della forte conflittualità tra Conte e Di Maio. Certamente il ministro degli Esteri non vuole la fine della legislatura. E dunque farebbe di tutto per evitare le urne. Che, invece, potrebbero solleticare Conte, la cui leadership non ha alcuna presa su gruppi parlamentari che non gli rispondono.
Si andasse al voto, infatti, è vero che il M5s vedrebbe ridursi notevolmente la sua compagine parlamentare, ma sarebbe proprio l’ex autoproclamato avvocato del popolo a far le liste elettorale. Pochi, insomma, ma finalmente fedeli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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