L'interpretazione di Giorgia Meloni è maliziosa ed esplode dentro al tempio di Adriano come una bomba. «Berlusconi ha risposto per primo all'appello di Letta a discutere di Quirinale e dunque, visto che il Pd non lo voterà mai, credo che Berlusconi abbia fatto un passo indietro». Così la vede la leader di FdI e lo dice alla presentazione dell'ultimo libro di Bruno Vespa, «Perché Mussolini rovinò l'Italia».
Seduta al fianco dell'autore e del segretario dem, premette quanto è «legata» al Cavaliere, che ha «candidato ed eletto alla presidenza del Consiglio», ma avverte che sostenerlo come candidato del centrodestra al Colle non è «facilissimo se non ci sono i numeri». E poi, collega la disponibilità del leader di Forza Italia verso Letta per un tavolo di maggioranza che blindi la manovra prima di trovare l'accordo per il successore di Mattarella, all'appoggio del suo partito al Cav.
Anche se attribuisce a lui «il passo indietro», la Meloni avvalora così le voci su un'irritazione sua e di Matteo Salvini, che ha incontrato lunedì, sulla mossa di Berlusconi. Eppure, poco prima ha negato con forza divisioni nella coalizione e ripete: «Per me è fondamentale che il centrodestra sia compatto. Ha le carte in regola per dire la sua. Non si tratta di eleggere un presidente della Repubblica amico mio, ho grande rispetto delle istituzioni e l'obiettivo è eleggerne uno soprattutto amico della Costituzione». La leader di FdI parla della «monogamia» del partito nelle alleanze, contrariamente ad altri come il Pd e non solo. «Abbiamo questo limite, per cui al governo ci andiamo solo con il centrodestra».
Sta di fatto che, dopo aver sostenuto con il leader della Lega che Berlusconi sarebbe stato il miglior candidato per il Colle, ora la Meloni fiera di stare all'opposizione del governo Draghi sembra escluderlo dalla corsa per aver aperto ad un dialogo con il Pd. Vespa chiede se FdI voterebbe Draghi al Quirinale e la Meloni glissa: «Non ho elementi per dirlo». Lei vuole le elezioni e se il premier salisse al Colle la sua maggioranza non potrebbe sopravvivere. «Do per scontato che si tenti un altro governo con Draghi al Colle, ma c'è un limite a tutto. Draghi perché è Draghi e un altro perché? Sarebbe indegno e un governo così sarebbe in difficoltà con l'approssimarsi delle elezioni e l'aumento della litigiosità tra i partiti».
Sul tema del Quirinale Letta è più cauto della Meloni, forse gongola vedendo gli effetti della pietra gettata nello stagno del centrodestra con il suo appello. Dice che la partita del Quirinale «appassiona più di tutte, una specie di palio», ma crea anche «tossine» per il lavoro sulle cose importanti da fare, a cominciare dalla lotta alla pandemia. Con una frase, poi, conferma i sospetti della Meloni sul dialogo sulla manovra che prepara quello sul Quirinale. «Sempre ma ancor di più oggi, il Presidente della Repubblica dovrebbe essere eletto con la più larga convergenza tra le forze politiche, non con un voto su voto. E questa larga convergenza si deve trovare sulla legge di bilancio e poi sull'elezione del Presidente della Repubblica».
Tra segretario dem e leader di FdI si registra una convergenza sulla legge elettorale. Letta scommette che rimarrà quella attuale perché «questo parlamento ha difficoltà a trovare intese». A lui l'attuale sistema non piace, ma non insiste sul ritorno al proporzionale.
La Meloni quasi gli fa un applauso, per lei il proporzionale sarebbe «vergognoso», e tira le somme: «Il centrodestra è contrario, siamo per il maggioritario e se Enrico dice che il Pd non ci sta, spero si assuma l'impegno».Sul lockdown per i non vaccinati proposto dai governatori leghisti in modo da evitare chiusure per tutti, Giorgia dissente, mentre Letta dice che se serve ci vuole più rigore contro il Covid.
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