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Sulla riforma il Pd perde la testa e pure la memoria. Quando Bonaccini era federalista

Il candidato alla segreteria chiedeva più risorse per la sua regione

Sulla riforma il Pd perde la testa e pure la memoria. Quando Bonaccini era federalista

Autonomia? No grazie. Nel centrosinistra c'è chi liquida la proposta di riforma delle funzioni e dei poteri in capo alle Regioni, approvata mercoledì dal Cdm, come una semplice «bandierina», uno «scalpo» offerto dalla premier alla Lega in occasione di elezioni regionali che (specie in Lombardia) vedono il Carroccio in affanno. «Un giocattolo regalato da Giorgia Meloni ai suoi ministri», dice Davide Faraone di Italia viva. «Nessuno crede che il ddl approvato ieri possa mai avere il consenso della 'nazionalista' Meloni - aggiunge - Giocano. Serviva un manifesto per le elezioni in Lombardia alla Lega, non una riforma».

Ma dal Pd arrivano toni assai più allarmati e battaglieri, promesse di dura opposizione al ddl (se e quando approderà delle aule parlamentari) e financo annunci di mobilitazione delle piazze contro «una grande truffa pericolosa che spacca il paese», come la definisce il governatore della Campania Vincenzo De Luca. E arrivano anche da chi, come il presidente dell'Emilia Romagna (nonché candidato alla segreteria dem) Stefano Bonaccini, aveva caldeggiato un rafforzamento del federalismo, presentando un progetto di autonomia regionale che aveva fatto litigare i dem, e gli aveva procurato accuse di intelligenza col nemico. Ma era un progetto ben diverso da quello di Calderoli, spiega Bonaccini: «L'autonomia che avevamo immaginato non parla di risorse, e non mette in campo materie divisive come scuola e sanità». Mentre l'attuale testo, oltre che «inaccettabile» è anche «surreale: faremmo ridere il mondo se approvassimo una riforma che prevede che potenzialmente le regioni possano avere ognuna la propria pubblica istruzione». Gli fa eco il sindaco di Firenze Nardella: «Ci vuole una battaglia fortissima, Bonaccini ha fatto benissimo a evocare a una possibile manifestazione, perché qui si spezzetta lo Stato e si disgrega il principio della solidarietà istituzionale».

Dal centrodestra però si attacca duramente la «incoerenza» di Bonaccini e altri dirigenti Pd. «La cosa che fa ridere - dice il governatore lombardo Attilio Fontana - è che il Pd ufficialmente, fino all'altro ieri, era un grande sostenitore dell'autonomia, con Bonaccini e con Giani che si ergevano a suoi grandi difensori, insieme all'ex ministro Francesco Boccia». Con il «voltafaccia» di Bonaccini se la prende il segretario emiliano della Lega: «Nel 2018, neofita autonomista, chiedeva più risorse trattenute alla fonte per la gestione delle competenze previste dalla futura autonomia differenziata. Sottoscrisse persino un accordo con Palazzo Chigi». Più soft i toni del presidente della Conferenza delle regioni, il friulano Massimiliano Fedriga: «Mi auguro che, finita la campagna elettorale e superato il congresso del Pd, ci si possa sedere di nuovo intorno a un tavolo perché le riforme istituzionali non possono essere di parte, devono essere di tutti. Ma non si possono accettare diktat di no assoluti, bisogna collaborare tutti insieme».

Un invito all'autocritica arriva invece al Pd da un altro dei candidati alla segreteria, Gianni Cuperlo: certo, quella del governo è «una pessima riforma nel metodo e nel merito», e va fatta una «ferma opposizione». Ma «ricordiamoci che il Titolo V venne votato dal centrosinistra, pensando a quel modo di sgambettate il secessionismo leghista.

D'ora in poi evitiamo di offrire alla destra l'occasione di fare danni».

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