Il super pm Di Matteo si dimette dall'Anm. Scopre solo adesso i giochi delle toghe

Il magistrato antimafia riconsegna la tessera: "Logiche correntizie"

Il super pm Di Matteo si dimette dall'Anm. Scopre solo adesso i giochi delle toghe
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Dopo anni di militanza, e dopo essere stato eletto al Consiglio superiore della magistratura con l'appoggio della corrente di Piercamillo Davigo, anche Antonino Di Matteo fa la sua scoperta: la giustizia italiana è governata da "logiche di appartenenza correntizia e di opportunità politica". Per questo Di Matteo - pm della Procura nazionale antimafia, ma per una vita sostituto procuratore a Palermo e protagonista delle inchieste (naufragate) sulla trattativa Stato Mafia - ieri annuncia le sue dimissioni dall'Associazione nazionale magistrati, il sindacato-partito delle toghe. Restituisce la tessera denunciando un malcostume che era da decenni sotto gli occhi di tutti, e che neanche il terremoto del 2019, raccontato da Luca Palamara nel "Sistema", è riuscito ad estirpare.

Cosa abbia improvvisamente aperto gli occhi a Di Matteo non è dato sapere. Gli stessi vertici dell'Anm sono stati colti alla sprovvista dall'annuncio delle dimissioni. Nessuna avvisaglia, nessun bisticcio recente. Agli atti c'è un gesto simile a quello attuale, quando Di Matteo si dimise da presidente dell'Anm di Palermo per protesta contro il "collateralismo al potere" dell'associazione. Ma si parla di tredici anni fa. E cinque anni sono passati da quando Di Matteo accusò Anm e Csm di non avere difeso abbastanza i pm del processo Stato-Mafia, che avevano scelto "per motivi di opportunità di schierarsi dalla parte del potere politico". Nel frattempo, Di Matteo è rimasto iscritto all'Anm, ha partecipato alle sue riunioni e alla sua vita interna. E ora?

Sta di fatto che l'uscita di Di Matteo è un brutto colpo per l'Anm, soprattutto perché arriva in una fase assai delicata per il sindacato delle toghe, che si prepara alla battaglia cruciale del referendum contro la riforma della giustizia, e che si vede additato come sentina di correnti da un dei suoi iscritti più famosi d'Italia, una icona dei movimenti antimafia. Di Matteo nel suo comunicato specifica che continuerà la sua lotta contro la riforma del governo Meloni e le minacce "all'indipendenza della magistratura e al principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge". Ma lo farà da semplice magistrato, fuori dalla Anm e dalle sue "appartenenze correntizie". D'altronde, aggiunge, io queste battaglie le ho sempre fatte anche quando l'Anm era "silente".

Nel suo messaggio d'addio all'Anm, Di Matteo rivendica di avere "cercato in tutti i modi di contrastare" lo strapotere delle correnti anche quando, dopo l'esplosione del "caso Palamara", era stato eletto al Consiglio superiore. Ma non aiuta a capire quale sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, convincendolo che l'associazione dei suoi colleghi sia ormai irrecuperabile. Così qualcuno si sofferma sul passaggio del comunicato in cui denuncia logiche di "opportunità politica": come se intendesse accusare la sua (ex) associazione di essere troppo timida nello scontro con il governo.

Possibile? In un momento in cui l'intera associazione sta votandosi alla crociata contro la riforma? Le dimissioni di Di Matteo arrivano a tre giorni dall'assemblea, fissata per sabato prossimo a Roma, in cui si aprirà ufficialmente la campagna per il No nel referendum della primavera prossima, e di tutto l'Anm aveva bisogno tranne che di vedersi piovere addosso l'accusa di essere collusa con la politica.

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